Uno scatto del 2014 di Curran Hatleberg. © Curran Hatleberg

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Uno scatto del 2014 di Curran Hatleberg. © Curran Hatleberg

La vita così com’è

Paul Graham all'Icp cura una collettiva «sulla fotografia e sull’atto di vedere il mondo» nel XXI secolo

A tentare il punto sulla recente produzione documentaria è il fotografo inglese Paul Graham (nato nel 1956 a Stafford e dal 2002 stabilitosi a New York), che fin dagli anni ’80 ha aperto nuove strade a questo genere fotografico. La sua riflessione è presentata nella collettiva «But Still, It Turns» (riadattamento del galileiano «Eppur si muove»), in corso all’Icp fino al 29 agosto, curata dallo stesso Graham, come anche l’omonimo volume pubblicato da Mack Books congiuntamente.

Si tratta di un excursus «sulla fotografia e sull’atto di vedere il mondo» composto a partire da nove autori (tranne un caso, tutti tra i 30 e i 50 anni) accomunati da uno sguardo libero da costrizioni narrative, che inquadra «la vita così com’è, in tutta la sua complicata meraviglia, negli Stati Uniti del XXI secolo».

Lo dimostrano le visioni improvvise del viaggio californiano di Gregory Halpern nel suo «ZZYZX», come il fluttuare dell’esistenza confusa nella memoria in «What Remains» di Richard Choi; il legame struggente tra abitanti e territorio statunitense nel «she dances on Jackson» di Vanessa Winship, come la ricodificazione del mito dell’Ovest nel Colorado stralunato di Kristine Potter in «Manifest»; l’Alabama ripresa da RaMell Ross in «South County», come la disuguaglianza sociale ribadita dall’«Index G» degli italiani  Piergiorgio Casotti & Emanuele Brutti.

E, ancora, gli assembramenti umani a Eureka, in California, nel «Lost Coast» di Curran Hatleberg, e la storia che s’insinua nel presente nella serie «All My Gone Life» di Stanley Wolukau-Wanambwa. Fin dal titolo è evidente il bisogno di trovare un’uscita dalla crisi pandemica: Graham la rintraccia nella promessa di futuro che i lavori indicano in direzione di una fotografia post documentaria, proprio mentre affermano che tutto conta perché tutto è legato nell’«infinita consanguineità del mondo».

Uno scatto del 2014 di Curran Hatleberg. © Curran Hatleberg

Chiara Coronelli, 15 luglio 2021 | © Riproduzione riservata

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