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Cecilia Vicuña, «Witoto», 2024

Courtesy Xavier Hufkens

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Cecilia Vicuña, «Witoto», 2024

Courtesy Xavier Hufkens

La mostra d’esordio di Cecilia Vicuña da Xavier Hufkens

L’artista e poetessa cilena, a più di sessant’anni dall’inizio della sua carriera, invita a un'immersione totale nella sua pratica interdisciplinare

«Mi concentro sui sistemi di “scrittura” e “non scrittura” nativi del mio universo andino, per riportare il loro potenziale creativo nel mondo, affrontando il dolore irrisolto della colonizzazione». Così Cecilia Vicuña parla della sua pratica artistica. A Bruxelles, la galleria Xavier Hufkens ha appena inaugurato «Arch Future» (futuro arcaico), la prima mostra personale dell’artista e poetessa cilena Cecilia Vicuña con la galleria. A più di sessant’anni dall’inizio della sua carriera, l’artista ci invita a un'immersione totale nella sua pratica interdisciplinare, che sfuma i confini tra arte visiva, performance, poesia, attivismo ecologico e spiritualità ancestrale. Il percorso è un «dispositivo sensibile», un organismo vivente che vibra tra memoria e visione, radicamento e trasformazione. Il titolo stesso è un ossimoro: arcaico e futuro si intrecciano a suggerire che le cosmologie indigene e le pratiche non occidentali non appartengono al passato, ma rappresentano architetture per immaginare un avvenire sostenibile, anticoloniale e interconnesso.
L’ingresso alla mostra è marcato da «Quipu Menstrual» (2006–2024), una densa scultura sospesa di lana non filata in rossi e bruni, che richiama il sangue, la terra e il ciclo vitale. I quipu, sistemi di comunicazione tridimensionale usati dalle civiltà andine precolombiane, diventano per Vicuña una grammatica poetica della resistenza e della memoria, un modo per «scrivere senza scrivere». L’opera nasce da una performance sul ghiacciaio El Plomo in Cile, dove il sangue mestruale e lo scioglimento dei ghiacci sono accostati come fluidi vitali e vulnerabili: un atto performativo che è insieme lamento, rituale e presa di posizione ecopolitica. Nella sala a doppia altezza, «Forest Son» (2025) prosegue questa riflessione con un linguaggio più sobrio e monocromo. Figlio concettuale del «Brain Forest Quipu» presentato alla Tate Modern, quest’opera amplifica il grido silenzioso della deforestazione e della violenza coloniale attraverso un uso composito di materiali organici e recuperati. 

 

Installation view della mostra da Xavier Hufkens. Courtesy Xavier Hufkens. Photo Thomas Merle

Al piano inferiore della galleria, Vicuña propone «Ciudad Geométrica» (2025), un'installazione precaria di grande formato costruita con materiali effimeri: legni, piume, conchiglie, tessuti raccolti tra Belgio, Cile e New York. L’artista, formatasi inizialmente in architettura, orchestra questi frammenti in una composizione che richiama le geometrie invisibili dei tessuti andini e le città sacre precolombiane. La sua «poesia nello spazio» si oppone al concetto occidentale di scultura come forma eterna, rivendicando invece l’effimero come veicolo di connessione e cura. Proseguendo,è possibile ammirare nella parte superiore dello spazio un corpus emozionante di «Lost Paintings», ovvero le recenti ricreazioni di opere realizzate tra i 17 e i 19 anni, prima dell’esilio forzato seguito al colpo di Stato cileno del 1973. Le tele originarie, perdute o distrutte, rivivono in una pittura che è atto di riconciliazione e di riappropriazione. Le «Pinturas Solares» fondono iconografie precolombiane, geometrie intuitive e riferimenti allo sciamanesimo, offrendo una visione che, pur radicata nella storia personale e culturale dell’artista, guarda oltre il tempo lineare.
La mostra accoglie anche due opere di matrice audiovisiva che amplificano la portata ecologica e spirituale della pratica di Vicuña. «Death of the Pollinators» (2021) è un film-poesia realizzato con Ricardo Gallo e Robert Kolodny che intreccia canto, paesaggi sonori e immagini ipnotiche per denunciare il collasso ecologico e il declino delle api. Le vibrazioni sonore delle api diventano metafora di un risveglio collettivo, di una risonanza planetaria che lega tutte le forme di vita. Accanto a questo, «Honguito niño», una composizione sonora sviluppata in collaborazione con Giuliana Furci e Cosmo Sheldrake, esplora la scoperta del rarissimo fungo Psilocybe stametsii, piccolo quanto un fiammifero, ma potentemente evocativo. La voce del fungo, come quella delle api, diventa portatrice di una conoscenza sottile, profonda, silenziosa. Vicuña tesse un dialogo sonoro tra biologia, mitologia e cosmologia, mostrando come le forme di vita più piccole possano rivelare le verità più grandi. La mostra è un esempio esemplare di come l’arte contemporanea possa farsi spazio di risonanza per cosmologie dimenticate, pratiche decoloniali e urgenze ecologiche. In un mondo che fatica a immaginare alternative, Cecilia Vicuña ci ricorda che la sopravvivenza, estetica, politica, spirituale, passa attraverso la memoria, la fragilità, la poesia. «Vedere l’invisibile» è la sua missione artistica, e in questa mostra ogni opera è un varco aperto verso ciò che non è mai stato perduto: solo messo a tacere. Ora, grazie a Vicuña, torna a parlare.

Installation view della mostra da Xavier Hufkens. Courtesy Xavier Hufkens. Photo Thomas Merle

Redazione, 07 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

La mostra d’esordio di Cecilia Vicuña da Xavier Hufkens | Redazione

La mostra d’esordio di Cecilia Vicuña da Xavier Hufkens | Redazione