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Jess T. Dugan, «Austin lying in the grass», 2023

© Jess T. Dugan

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Jess T. Dugan, «Austin lying in the grass», 2023

© Jess T. Dugan

La fotografia come narrazione e come connessione con sé stessi

Alle Gallerie d’Italia di Milano 30 scatti e due video di Jess T. Dugan, artista statunitense campione della comunità Lgbtq+, nato donna nel 1986

«Look at me like you love me-Guardami come se mi amassi», il titolo del progetto fotografico e della mostra personale di Jess T. Dugan presentata dal 17 maggio al 19 ottobre dalle Gallerie d’Italia-Milano, Museo di Intesa Sanpaolo, è un enunciato poetico intriso di una richiesta d’amore e di tenerezza che condensa perfettamente in sé il senso di questa mostra emozionante, capace di scardinare, con gentile durezza, i pregiudizi che ancora colpiscono la comunità Lgbtq+. E quanto tali pregiudizi siano ancora vivi, almeno nelle generazioni meno giovani, è testimoniato dal video «Letter to My Daughter» (2023), un lavoro struggente e bellissimo (l’altro video è il non meno toccante «Letter to My Father», 2017, in cui Jess esplora il rapporto, intenso ma conflittuale e doloroso, con il genitore) che l’artista statunitense, nato donna nel 1986, ha dedicato ai primi cinque anni di vita della figlia, partorita dalla sua compagna di vita grazie al seme di un donatore, dopo l’impervio percorso dell’inseminazione artificiale che tante coppie ben conoscono, ma che nel loro caso è stato reso anche più doloroso dall’indifferenza (quando non dall’ostilità) ostentata da alcuni operatori sanitari durante le terapie e dopo il parto.

Video bellissimo e struggente, si diceva: struggente per il tema, che è il racconto per immagini, ma anche per parole, del dolore attraversato con la compagna prima di vedere giungere al mondo la loro bambina; bellissimo per la qualità delle sue immagini: la stessa qualità che si trova nelle fotografie, il linguaggio espressivo con cui Jess T. Dugan ha esordito quando aveva 16 anni.

È con la fotografia infatti, come racconta lui stesso, che ha iniziato: «ero alla scuola superiore e la mia ricerca artistica, spiega, è andata di pari passo con la mia ricerca identitaria. Ho iniziato perciò con il ritratto, cercando immagini di persone che fossero simili a me, con cui mi trovassi in sintonia spirituale: membri quindi della comunità Lgbtq+ di Boston, dove allora vivevo. La mia fotografia nasce come narrazione e come strumento potente di connessione con me stesso, con la mia famiglia, con gli amici».

Protagonista del progetto «Look at me like you love me» è la sua famiglia allargata, e la tonalità affettiva che sorregge le opere presentate in mostra (30 immagini fotografiche, tutte di grande formato, tutte analogiche, e due video) è fatta dell’affetto, della tenerezza, della cura reciproca che unisce i componenti di quella sua famiglia, e del fondersi dei loro corpi: corpi mutilati nelle persone che, come lei, erano nate donna e che oggi portano i segni lasciati dai chirurghi nell’asportare loro i seni.

Pur essendo lui un artista militante, nelle immagini di Jess T. Dugan non ci sono, come ci si potrebbe attendere, denunce rabbiose delle difficoltà incontrate tuttora da chi vive questa realtà. Ma non si può non notare che nessuno di loro sorride: che siano sole e immerse nella natura, o in compagnia (in tal caso sempre abbracciate), queste persone portano sul volto i segni di una profonda malinconia, di una pena di vivere su cui non si può non riflettere, «medicata» solo dall’affettività reciproca e dalla natura accogliente e materna in cui l’artista le immerge e con cui loro si fondono.

Spiega la curatrice, Renata Ferri: «il tema di questa mostra è la libertà di autodeterminazione; la sua premessa è la poesia; il filo conduttore la grande ricchezza della diversità. Quanto all’aspetto formale, è importante notare che, in un momento in cui il linguaggio fotografico è minacciato, talora corrotto, dall’IA, qui siamo di fronte a una fotografia analogica, onesta, realizzata usando solo la luce naturale, negli interni come negli esterni. E intellettualmente altissima». E anche di una fotografia «profondamente influenzata dalla storia dell’arte», aggiunge l’artista, che precisa: «il mio è un lavoro lento, fondato sulla natura, sulla luce, sul gesto».

Sono immagini magnifiche le sue, non a caso esposte solo in musei e istituzioni pubbliche (oltre 50 quelle che le hanno acquisite per le loro collezioni permanenti) e incluse in pubblicazioni che gli hanno guadagnato premi prestigiosi come la nomina di «Lgbt Artist Champion of Change» dalla Obama White House.

Presentato nella Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, il progetto espositivo è stato ideato e organizzato con la struttura Diversity, Equity & Inclusion della Banca, diretta da Elena Avogadro, con la collaborazione di Isproud, la community interna Lgbtq+ di Intesa Sanpaolo, da tempo attenta a queste tematiche.

Nel corso della mostra (che è accompagnata da un catalogo Allemandi), dopo il primo incontro tra l’artista e la curatrice, tenuto il 16 giugno, si terranno nelle Gallerie d’Italia-Milano tre altri incontri, tutti alle 18.30: il 5 giugno con Francesca Vecchioni, fondatrice e presidente di «Diversity» e ideatrice di «Diversity Media Awards» una conversazione sul tema «Identità e rappresentazione: uno sguardo dai media»; il 19 giugno con la fumettista Josephine Yole Signorelli-Fumettibrutti, sul tema «Tutte le mie cose belle sono rifatte-autobiografia necessaria», e l’11 settembre con lo psichiatra e psicoanalista Vittorio Lingiardi, che esplorerà il tema del «corpo e la sua immagine». Tutti in dialogo con Renata Ferri.

Jess T. Dugan, «Self-portrait (reaching)», 2021. © Jess T. Dugan

Ada Masoero, 16 maggio 2025 | © Riproduzione riservata

La fotografia come narrazione e come connessione con sé stessi | Ada Masoero

La fotografia come narrazione e come connessione con sé stessi | Ada Masoero