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Jean Dubuffet, «Échec à l’être», 1971

Courtesy of Opera Gallery

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Jean Dubuffet, «Échec à l’être», 1971

Courtesy of Opera Gallery

La «disobbedienza» di Dubuffet da Opera Gallery

Lo spazio parigino celebra il maestro dell’Art Brut e il suo universo radicale

Durante la Paris Art Week 2025, tra vernissage e le tante inaugurazioni, Opera Gallery accende i riflettori su una figura che ha rivoluzionato il concetto stesso di arte: Jean Dubuffet. La mostra «Jean Dubuffet, L’Hourloupe et son sillage (1962–1982)», in programma dal 16 ottobre al 12 novembre, è un viaggio visivo e concettuale dentro il linguaggio più iconico dell’artista francese, omaggio a quarant’anni dalla sua scomparsa.
L’esposizione raccoglie opere che attraversano due decenni cruciali della produzione dubuffettiana. Al centro, la serie «L’Hourloupe», nata nel 1962 da semplici scarabocchi su carta biro durante alcune telefonate. Quelle forme cellulari, strisce rosse e blu incorniciate da contorni neri, hanno finito per costituire un lessico artistico alternativo, costruito interamente sulla decostruzione del reale. «Astenersi totalmente dal mondo naturale quotidiano per nutrire lo sguardo solo con le proprie elaborazioni mentali», scriveva Dubuffet nel 1968. Ed è esattamente questa fuga dalla realtà, questa reinvenzione continua della percezione, che la mostra mette in scena. Oltre alle opere principali delle due fasi di «L’Hourloupe», l’esposizione include lavori tratti da serie meno note ma fondamentali, come «Coucou Bazar», «Roman burlesque», «Sites tricolores», «Psycho-sites» e «Sites aléatoires». Punto clou è «Échec à l’être» (1971), uno dei 175 «Practicables» originariamente creati per la performance immersiva «Coucou Bazar», vero e proprio teatro della pittura vivente, presentato per la prima volta al Guggenheim nel 1973. L’iniziativa parigina evidenzia la tensione che ha sempre animato il lavoro di Dubuffet: quella tra costruzione e distruzione, tra figurazione e astrazione, tra materia e linguaggio. Opere come «Site au Défunt» (1982), nate dalla tecnica del collage pittorico, rinnovano il suo codice espressivo pur rimanendo fedeli a una visione che esclude ogni mimesi e abbraccia la fantasia come unica realtà possibile.

Jean Dubuffet, «Scène tragique (site avec deux personnages)», 1974. Courtesy of Opera Gallery

Per Marion Petitdidier, direttrice di Opera Gallery Paris, Dubuffet è più di un artista: è un archetipo. «Da tempo ci impegniamo a riesaminare il canone francese del dopoguerra e a collegarlo alla sensibilità contemporanea. Il suo linguaggio radicale, la sperimentazione dei materiali e il rifiuto delle convenzioni sono temi a cui torniamo continuamente. Presentata durante la Paris Art Week, uno dei momenti più vivaci del calendario artistico internazionale e in concomitanza con Art Basel, questa mostra ribadisce il profondo impegno di Opera Gallery nei confronti delle voci chiave dell'arte del XX secolo. Sottolinea inoltre la posizione di Parigi come centro rinnovato per il dialogo tra arte contemporanea e dopoguerra». Nato a Le Havre nel 1901, Jean Dubuffet è stato il pioniere dell’Art Brut, tendenza che ha eletto l’espressione istintiva e marginale a forma pura di creatività. Rifiutando i canoni accademici, ha trovato ispirazione nei disegni dei bambini, nei graffiti, nelle opere dei pazienti psichiatrici, sviluppando uno stile grezzo che ha fatto scuola. L’uso di materiali poveri, come sabbia, catrame e frammenti eterogenei, ha reso la sua estetica unica e radicale. Le sue opere sono oggi conservate nei più importanti musei del mondo, dall’ Art Institute di Chicago al Centre Pompidou di Paris, dal Fine Arts Museums di San Francisco al Metropolitan Museum of Art di Ndew York.

Margherita Panaciciu, 04 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

La «disobbedienza» di Dubuffet da Opera Gallery | Margherita Panaciciu

La «disobbedienza» di Dubuffet da Opera Gallery | Margherita Panaciciu