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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliFirenze. Nell’anno delle celebrazioni leonardesche, la mostra «Leonardo da Vinci e Firenze. Fogli scelti dal Codice Atlantico» alla Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio (aperta dal 29 marzo al 24 giugno) evoca la forza del legame, pur complesso, che Leonardo intrattiene con la città, nelle sue peregrinazioni tra Milano, Roma e la Francia, svelando una trama di pensieri e di relazioni, frutto di un’inedita analisi del celeberrimo corpus di 1.119 fogli, conservati alla Pinacoteca Ambrosiana.
«Può sembrare paradossale, osserva la curatrice Cristina Acidini, ma è la prima volta che, all’interno del Codice Atlantico (che contiene annotazioni su quarant’anni di vita e d’attività di Leonardo) si individua un percorso riguardante Firenze, la sua città di nascita e formazione. Cose viste e vissute, incontri ed esperienze nello scenario di Firenze modellarono in profondità l’ingegno versatile di Leonardo, che per tutta la vita rimase legato alla definizione di Pictor Florentinus».
Si va dunque dagli anni Settanta del Quattrocento, col foglio che adombra il rapporto stretto ma talvolta difficile con Botticelli ai tempi in cui erano nella bottega di Andrea del Verrocchio («Sandro! tu non di’ perché tali cose seconde paiono più basse che le terze», riferito allo studio del paesaggio), fino al disegno datato 24 giugno 1518, giorno del patrono di Firenze, a solo un anno dalla morte, in Francia.
Troviamo poi il ricordo d’infanzia del «sogno del nibbio» (che ispirò il saggio di Freud), gli studi sul volo degli uccelli, sull’idrografia fiorentina e dell’intera valle dell’Arno, e quelli per la «Battaglia di Anghiari» in Palazzo Vecchio. Chiude la mostra l’immagine misteriosa del «Busto del Redentore» (1511) un solo dipinto, proveniente dalla Pinacoteca Ambrosiana, a firma «Salai», attribuito a Gian Giacomo Caprotti detto Salaino, uno degli assistenti più cari a Leonardo, che lo seguì a Firenze nei primi anni del Cinquecento.

L'allestimento della mostra «Leonardo da Vinci e Firenze» a Palazzo Vecchio. © Nicola Neri
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