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Una scena del film «All the Beauty and the Bloodshed» (Tutta la bellezza e il dolore; 2022), documentario di Laura Poitras su Nan Goldin. Cortesia di Tiff

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Una scena del film «All the Beauty and the Bloodshed» (Tutta la bellezza e il dolore; 2022), documentario di Laura Poitras su Nan Goldin. Cortesia di Tiff

La Power 100 dell’arte: Nan Goldin è la numero uno

La tradizionale classifica delle personalità più influenti del 2023 stilata da 22 anni da ArtReview premia l’attivismo. Se nel 2021 a conquistare la vetta erano stati gli Nft, quest’anno ai primi 10 posti ci sono solo artisti

Anna Maria Farinato

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L’artista, fotografa e attivista Nan Goldin (Washington, 1953) è in cima alla Power 100 stilata da ArtReview per il 2023, classifica che l’anno scorso la vedeva all'ottava posizione. L’autrice di «The Ballad of Sexual Dependency», e protagonista del documentario «Tutta la bellezza e il dolore», vincitore del Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia del 2022, capeggia una lista che, come dichiarano da ArtReview, «è dominata da artisti che usano le loro piattaforme non solo per discutere di libertà, ma anche per praticarla, intervenendo con i fatti oltre che con le parole (e le immagini) nelle pressanti questioni politiche e sociali del momento attuale». Oltre alla battaglia che la impegna da anni nella denuncia della Purdue Pharma, l’industria  farmaceutica controllata della famiglia Sackler produttrice dell’OxyContin, un oppioide che negli Stati Uniti ha causato la morte di migliaia di persone, Goldin è tra le firmatarie della controversa lettera a sostegno della Palestina pubblicata da Artforum e che è costata il posto al direttore, accusato di non aver condannato apertamente le atrocità di Hamas del 7 ottobre. Le polemiche seguite alla pubblicazione della lettera hanno indotto molti dei firmatari originari a fare marcia indietro. «Non ho mai vissuto un periodo più agghiacciante, ha dichiarato l’artista al “New York Times”. Le persone vengono messe nella lista nera, perdono il lavoro».

Per la prima volta quindi i primi 10 posti della classifica che la rivista americana pubblica da 22 anni sono occupati da artisti-artisti. Dietro a Nan Goldin troviamo un’altra artista politicamente impegnata, la tedesca Hito Stayerl, seguita da Rirkrit Tiravanija, Simone Leigh, Isaac Julien, Ibrahim Mahama, Theaster Gates, Steve McQueen, il Karrabing Film Collective e Cao Fei. E pensare che solo nel 2021 a conquistare la cima erano stati gli Nft, fenomeno che si era trascinato dietro, verso la metà della lista, investitori come Winklevoss Twins, ora completamente spariti dal «ranking».

Nonostante granitiche presenze (seppur con la discesa di alcuni gradini) come quelle, tra i tanti, di galleristi come Gagosian, Gladstone, Hauser & Wirth, Jay Jopling, Perrotin, Zwirner, o di critici come Hans Ulrich Obrist, salta subito all’occhio nell’attuale Power 100 la massiccia presenza di personalità non occidentali e un accurato bilanciamento tra uomini e donne. Dentro allora, o in ascesa, collettivi come il citato Karrabing (al n. 9), composto da film maker indigeni australiani che si servono dell’arte e del cinema come strumento di presa di coscienza, o Forensic Architecture (al n. 13), gruppo multidisciplinare di artisti che conducono ricerche sulle violazioni dei diritti umani, mentre ruangrupa, di base a Giacarta, in Indonesia, controversi curatori dell’ultima documenta a Kassel, rotolano dal primo posto della classifica 2022 al 40esimo dell’attuale. Entrano nella classifica, seppur nelle posizioni di coda, Sandra Benites (99), curatrice che promuove l’arte degli indigeni brasiliani;  Kimberley Moulton (97), curatrice di arte delle «First Nations» e indigena; Natasha Ginwala (94), direttrice artistica di Colomboscope (festival di arte contemporanea e piattaforma creativa per il dialogo interdisciplinare nello Sri Lanka) e cocuratrice della prossima Biennale di Sharja; Nicholas Galanin (91), artista e musicista dell’Alaska, che si batte contro i confini territoriali e il possesso delle terre. New entry, al 90mo posto, è pure il pensatore Teju Cole, scrittore, artista e docente ad Harvard; così come Raphael Fonseca (88), curatore di Videobrasil o Naeem Mohaiemen (81), film maker e scrittrice «artista, regista e scrittrice che immagina una nuova struttura al di là della norma neoliberale per il Sud globale».

Effetto Biennale di Venezia e il potere delle italiane
Adriano Pedrosa, attuale direttore artistico del Museo di San Paolo del Brasile e curatore della prossima Biennale di Venezia, scala una quarantina di posizioni dal 2022,  e si piazza alla 15ma, probabilmente anche grazie all’incarico veneziano. E infatti la curatrice che l’ha preceduto, Cecilia Alemani, scende dal secondo posto del 2022 al 53mo del 2023, rimanendo pur sempre la prima delle italiane. Che sono: Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (58ma; era 60ma nel 2022); Lucia Pietroiusti (passata dalla posizione n. 90 alla 65); Miuccia Prada (in discesa: dalla n. 45 alla 72). Nessun italiano, in nessun ruolo, tra i 100 della lista, consultabile qui.
 

Una scena del film «All the Beauty and the Bloodshed» (Tutta la bellezza e il dolore; 2022), documentario di Laura Poitras su Nan Goldin. Cortesia di Tiff

Anna Maria Farinato, 01 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

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