Alessandro Martini
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È solo la «prima fase anticipatoria dei lavori di rigenerazione del museo», ma ciò che dal 15 ottobre si è iniziato a intravedere è la Gam del futuro, alla quale da inizio 2024 la neodirettrice Chiara Bertola ha impresso la sua visione. E una decisa accelerazione, che fa ben sperare. Dopo sei anni si è finalmente riaperto il secondo piano, centinaia di opere sono nuovamente visibili secondo un ordinamento di grande suggestione e in spazi rinnovati e più luminosi, altrettante sono ora mostrate nella forma di «deposito». Soluzione che piacerà molto, per l’originalità dell’allestimento e per la qualità delle opere selezionate. La strada pare imboccata, anche se rimane evidente che la vera svolta potrà davvero compiersi soltanto in seguito all’annunciato e attesissimo Concorso internazionale di progettazione, per la riqualificazione complessiva. Ma per questo servono risorse al momento non (ancora) disponibili. Si parla di 25 milioni, forse più. «Compagnia di San Paolo farà la sua parte nel cofinanziamento, ma c’è bisogno del Governo», ha sottolineato Alberto Anfossi, segretario generale della fondazione torinese. I fondi ministeriali arriveranno? Ora dipende dal nuovo ministro Giuli. Per il momento si sta lavorando alla definizione del bando per il concorso futuro, con il supporto proprio di Fondazione Compagnia di San Paolo e con il contributo del Centro Conservazione e Restauro «La Venaria Reale».
Ma intanto, dicevamo, qualcosa inizia a vedersi: in assenza di grandi finanziamenti, si è sopperito con buone idee e una visione chiara. La Gam «guarda al passato per proiettarsi verso il futuro»: così hanno dichiarato il presidente della Fondazione Torino Musei Massimo Broccio, di cui la Gam è parte, e la direttrice Bertola, presentando la riapertura parziale, frutto del Lotto Zero destinato alla riqualificazione di parte degli spazi espositivi, di accoglienza e didattici. Obiettivo (raggiunto) è la liberazione degli spazi, in modo leggero, rapido ed economico, con lo strumento dello «stripping» che, spiega Chiara Bertola, «permette di riportare in superficie la natura profonda dell’edificio». Ecco così riemergere le forme, le strutture e in alcuni casi i materiali dell’edificio inaugurato nel 1959 quando i giovani Carlo Bassi e Goffredo Boschetti lo progettarono come modello di innovazione museale. Nuova luce naturale nell’atrio e finestre aperte lungo i percorsi, per riportare nelle sale gli scorci del giardino e della città. Eliminati in parte gli impianti e le controsoffittature via via aggiunti nei decenni, emergono ora i soffitti originari e le pareti perimetrali inclinate. Anche alcuni arredi d’epoca sono stati riportati lungo il percorso. La visita ha inizio dal secondo piano, con il «Deposito vivente», un display che consente al pubblico di immergersi in un ambiente sovraccarico di opere (oggi 392) e in continua trasformazione. Si prosegue con l’allestimento delle opere (curato con Chiara Bertola da Elena Volpato e Fabio Cafagna), seguendo i temi luce, colore, tempo, in «risonanza» (spiegano) con le mostre autunnali: Berthe Morisot, Mary Heilmann e Maria Morganti. Si articola in 15 sale e oltre 200 opere, ognuna delle quali è il capitolo di un racconto, con la propria narrazione e i propri personaggi. Prima le sperimentazioni segniche degli anni ’50, con opere di Novelli, Perilli, Burri, Twombly e Vaccari, poi le campagne antropizzate, con la monumentale «Semina» di Pedro Cabrita Reis accanto agli scatti di Mario Giacomelli, il viaggio con d’Azeglio, Dix, Licini e Ontani, fino a Warhol, Pascali e Schifano. La nuova Gam riesce anche a ricordarci la qualità altissima di una collezione sacrificata dalla carenza di spazio, ma anche in continua crescita.
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