Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Carola Allemandi
Leggi i suoi articoliPaolo Leonardo (Torino, 1973) è un pittore attivo dalla metà degli anni Novanta. Il suo lavoro è stato esposto nel corso degli anni in Italia e all’estero (per ricordare alcune istituzioni: Fondazione Merz di Torino, Centro Pecci di Prato, XIV Quadriennale di Roma, Frost Art Museum di Miami). La sua opera pittorica rappresenta una sfida nei confronti del sistema mediale contemporaneo e una ricerca improntata sull’interazione tra pittura e fotografia.
Da sempre interessato all’intreccio tra dimensione storica e intima, la sua attenzione negli ultimi anni si è spostata verso il tema della Comune di Parigi, in omaggio alla quale da due anni sta lavorando a una grande installazione che sarà pronta nel 2026.
Come è nata l’idea di dedicare una grande installazione alla Comune di Parigi del 1871?
L’idea è nata perché conoscevo la storia della Comune, che mi ha sempre affascinato. La Comune è stata un modello per le rivoluzioni popolari venute dopo, come quella d’ottobre in Russia. Mi interessa perché è stato un evento spontaneo rispetto ad altre rivoluzioni, unito a idee incredibili legate al pedagogismo, all’arte, alla letteratura. Molti intellettuali e artisti dell’epoca, come Manet, Victor Hugo, Courbet, vi avevano preso parte, insieme a molti teatranti dell’Opéra di Parigi. Fu anche una rivoluzione con una grande partecipazione femminile, oltre a essere guidata da Louise Michel, figura che ho molto approfondito. C’era questa idea di educazione totale, un po’ sull’onda illuminista di Jean-Jacques Rousseau di pedagogia come strumento di uguaglianza sociale e laico. La Comune aveva davvero creato una rivoluzione popolare e totale, per tutti, lottando contro il lavoro minorile e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Poi nella realtà non è accaduto nulla, dopo tre mesi c’è stato un massacro. Ma quello che mi ha catturato di più è tutto ciò che ho appreso su queste figure, che nella loro lotta hanno fatto anche tanti errori. Marx lo scrisse nella sua opera La guerra civile in Francia (1871), in cui accusò i comunardi di non essere stati in grado di occupare la Banca Nazionale di Parigi. Oggi sarebbe bello poter pensare di poter mettere in campo certi ideali. Lì c’era una visione, quella dell’uomo bambino che doveva avere le stesse possibilità rispetto agli altri. Volevo ricordare quello che è stato un enorme tentativo utopico di fondare una società non capitalista, vedendo nella ciclicità degli eventi la disfatta di questi ideali, a cui ancora oggi assistiamo.
Sai già che struttura avrà l’installazione?
Il lavoro sarà una lunga striscia di 70 metri alta 70 centimetri e sarà composto da immagini e parti scritte con cui voglio raccontare, anche proprio con un approccio didattico, che cosa è stata la Comune, questo sogno rivoluzionario durato appena tre mesi. È una cosa che ho scoperto e studiato e che voglio restituire. Per questo non mi interessa arrivare soltanto per forza al mondo dell’arte: più del collezionista mi interessa arrivare agli studenti, entrare in luoghi diversi da quelli istituzionali. I pezzi scritti saranno associati alle immagini, che sono fotografie d’archivio che ho recuperato, stampato e su cui ho dipinto con la china. Devo ancora capire molte cose. Anche il titolo, «Omaggio alla Comune», è ancora provvisorio. So però che nell’installazione saranno presenti, oltre a tutte le immagini d’archivio, tre ritratti: di Courbet, Proudhon e Michel. E saranno immagini che torneranno, lavorate ognuna in modo diverso, lungo tutto il percorso installativo. L’installazione poi non avrà una lettura lineare, da sinistra a destra o viceversa, ma partirà da una zona centrale e si svilupperà simultaneamente su entrambi i lati. Come sai io sono molto contrario a qualsiasi struttura narrativa, in cui ho sempre visto un’imposizione e una costrizione della libertà, sia espressiva che fruitiva. Per questo motivo non verrà seguito neanche un percorso cronologico esatto. Il cuore dell’installazione l’ho immaginato così: ci sarà un paesaggio che si ripeterà (una cartolina che avevo in casa e che mi piaceva, che può ricordare la deportazione in Nuova Caledonia di Louise Michel), un ritratto, un testo e un monocromo nero, ripetuto tutto due volte. Non so dirti da dove sia venuta l’idea di ripetere alcuni soggetti con trattamenti diversi: forse per una questione di ritmo e di simmetria. Nelle immagini si vedrà la Parigi delle barricate, delle macerie, di quella vera e propria guerra che si è scatenata nel periodo della Comune. Si vedranno anche le tende dei soldati, i morti (tra cui decine di bambini), i cadaveri nelle bare di cartone, la colonna di Place Vendôme in frantumi fatta cadere dai comunardi.
La sua pratica artistica spesso consiste nel dipingere con la china su fotografie d’archivio: per la Comune usa il rosso.
In questo lavoro ho caricato la densità del colore per dare una consistenza più corposa all’immagine senza mai cadere nella matericità (la china non è mai materica). Guardando le decine di immagini che ho trovato sulla Comune mi sono reso conto che è stata una vera e propria guerra. Anche il libro scritto da Louise Michel, La Comune, sembra un diario scritto dal fronte. Ho lavorato con la china rossa in un modo molto pesante, se noti. Ci sono delle parti dove la china diventa rappresa.
Lavorando su immagini d’archivio in qualche modo rinuncia alla ricerca del soggetto, in favore di una sua reinterpretazione.
Il mio lavoro ruota proprio attorno alla morte del soggetto. Se dai miei lavori togli la fotografia, che cosa rimane? Il colore. L’informale. Questo procedimento è stato, fin dall’inizio del mio percorso negli anni Novanta, la risposta alle nuove domande della pittura, un modo per riattualizzare l’Espressionismo astratto e il Minimalismo dopo che Pollock aveva portato al grado zero la pittura con l’Informale. Dopo Burri, Vedova, De Kooning, Pollock, Bacon, che cosa fai? Che cosa può fare la pittura?
Paolo Leonardo, «La Comune», 2025
Altri articoli dell'autore
Nel suo ultimo libro, edito da Einaudi, l’artista crea una bussola per orientarsi tra i molti volti dell’immagine e le sue talvolta enormi conseguenze
Alla Gam di Torino la prima mostra antologica della fotografa svedese in un’istituzione italiana
L’artista vincitrice del secondo Collective Prize del Castello di Rivoli racconta il processo creativo dietro l’opera e la sua trasformazione nel realizzarla


