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Carola Allemandi
Leggi i suoi articoliPortare il futuro qui e vederlo, abitarlo per un attimo, è qualcosa che di norma compete al potere dell’immaginazione. La fotografia, per contro, nell’accezione comune resta quello strumento in grado di raccontare il mondo che si vive, incastonato nel tempo in cui si è immersi. Eppure, proprio questo concetto fa da perno per un allargamento di orizzonti nel libro Atlas of the New World dei fotografi italiani Giulia Piermartiri e Edoardo Delille: pubblicato quest’anno da L’Artiere, nelle immagini la visione è forzata oltre le proprie possibilità; le previsioni future sugli squilibri dell’ecosistema di sei ambienti del nostro pianeta sono rese realtà visibili, congelate negli scatti. Le acque che si presume si alzeranno drasticamente alle Maldive, rendendo la superficie oggi calpestabile un panorama subacqueo tra meno di cento anni, sono ora qui, sovrapposte a immergere l’ordinarietà ancora indifferente dei nostri giorni.
Con una tecnica studiata appositamente per questo progetto, Piermartiri e Delille hanno visitato, oltre alle Maldive, vari paesi della California, del Monte Bianco, del Mozambico, e ancora della Cina e della Russia per rendere alla portata dei nostri sensi ciò che accadrà, per non lasciare all’immaginazione ciò che in fin dei conti, in potenza, vive già allo stato latente nell’ambiente che viviamo. La fotografia viene dunque scoperta nel suo ruolo profetico, scissa tra l’oggi e l’avvenire, fatti ora convergere su un unico frammento. La fotografia, concepita sempre di più come supporto visivo ad analisi scientifiche e quindi esplorata nel suo potenziale divulgativo, viene anche in questo caso affiancata dai dati delle ricerche: di ogni luogo visitato, il rilevamento delle criticità ambientali viene già trasportato sul piano delle probabilità, descrivendo le trasformazioni (e degenerazioni) degli scenari odierni che verosimilmente accadranno entro il 2100.
Altra cosa, si diceva, è però vederle: e anche qui avviene una sovrapposizione di tempi e dimensioni. Le persone incontrate dai fotografi, ritratte nelle proprie case e nei propri ambienti, colpite dal flash che porta con sé la proiezione futura delle condizioni ambientali cui quei luoghi vanno incontro, non si accorgono dell’incantesimo. Siamo noi i testimoni esterni dello stravolgimento, noi ad avere il giusto tempo per assimilarne la portata. Si tratta di un attimo, e un ritratto di gruppo, una qualsiasi scena quotidiana, possono essere travolti dalle fiamme, dalle acque alluvionali, da prati fioriti laddove ora esiste la neve. Adesso due ragazzi siedono su un motorino alle spalle di una casa, ma già vediamo le acque dell’oceano e la sua fauna prendere il proprio spazio, sovrastare tutto, ragazzi e casa.
La tecnica di ripresa messa a punto dai due autori, che ci viene raccontata da Elena Giacomelli nell’ultimo testo del libro, è riproposta anche progettualmente nella veste grafica dell’opera. I concetti di sovrapposizione e di contaminazione visiva, utilizzati per dare contorni e colori netti all’immaginario, vengono ripresi infatti dalle pagine che riportano alcuni di questi scenari in trasparenza sulle pagine.
Il futuro, in qualche modo, si fa materia non soltanto pensabile, ma evidente; e la visione organo di una nuova coscienza più che del solo pensiero. Piermartiri e Delille, mostrandoci gli incendi che si presume devasteranno quelle stesse case in cui vediamo le persone vivere serene, giovani praticare sport, famiglie svolgere le proprie attività domestiche, in Russia e in California, ci dicono che l’invisibile a volte è solo questione di tempo. Un tempo che, esondando dalle barriere solitamente imposte dalla fisica, oltre che dalla tecnica fotografica, ci viene incontro come un monito violento, sebbene ancora incapace di ferire la pelle. Nessuno si brucia davvero nelle fiamme che vediamo, nessuno naufraga nelle acque delle alluvioni delle strade cinesi, né ancora si precipita nelle spaccature del terreno arido del Mozambico. Gli scenari ad alta probabilità in cui ci immergono Piermartiri e Delille sono un aiuto al grosso sforzo immaginativo che il tempo che viviamo ci richiede: lo ricorda anche Stefano Mancuso nel primo testo del libro parlando del «sistema instabile» che è ormai diventato il nostro ambiente, e di quella «nuova normalità» che vede eventi rari, o estremi, farsi fenomeni integrati al nostro tempo, ripetibili, pressoché ordinari. O ancora, con le parole di Giulio Betti, autore del secondo testo: «Nel momento in cui percepiamo la straordinarietà meteorologica come normale, significa che il futuro del clima è già qui».
Proprio in questo cambio di regole e paradigmi con cui interpretare la realtà, le immagini di Atlas of the New World intendono mettere a sistema un linguaggio visivo che non tenga più conto delle dimensioni ordinarie della percezione e che getti invece la sua luce più drasticamente verosimile.
Se la fotografia, nel pensiero di Yves Bonnefoy, si accostava al «nevermore» gridato dal corvo di Edgar Allan Poe, a quel «mai più» della fugacità del tempo impressa sulla lastra, le immagini dei due autori italiani inneggiano al «not yet», al «non ancora»; alla previsione più certa del realismo futuro.
Mentre l’assetto geografico suggerito dall’Atlante del titolo è spinto agli estremi della reinvenzione, il «Nuovo Mondo» cui si riferisce l’opera di Piermartiri e Delille non ha più alcun sapore di conquista cui spesso l’appellativo era associato riferendosi all’esplorazione delle Americhe, fino a tutto il Novecento. Lo spirito di scoperta è ora brutalmente soppiantato dal senso urgente di ridisegnare il modo di concepire il mondo (tutto il mondo, e non una sua parte) e il nostro rapporto con esso; l’ambizione di espandere il proprio dominio su nuove terre lascia ora spazio a una più radicalmente umana di sopravvivenza.
Atlas of the New World
di Giulia Piermartiri e Edoardo Delille, 160 pp., L’Artiere, Bologna 2025, 55 €
Una fotografia da «Atlas of the New World» di Giulia Piermartiri e Edoardo Delille
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