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L’Italia va fiera

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Franco Fanelli

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Ad Art Basel, svoltasi dal 15 al 18 giugno, le 21 gallerie italiane hanno brillato. Lo stand di tornabuoniArte, che allineava quattro strepitose «Fine di Dio» di Lucio Fontana, abbinate a una sezione documentaria ricca di rivelazioni sulla genesi di quelle opere, era considerato da molti addetti ai lavori il migliore della fiera. «Il nostro sforzo è stato premiato, dichiarava Michele Casamonti. Se le gallerie di secondo mercato non riscoprono la loro vocazione, che è anche culturale e non solo di mercato, la partita contro le case d’asta è persa in partenza».

Carlo Alfano, con tre opere fondamentali, era l’offerta dello Studio Trisorio. «Stanza per voci, Archivio delle nominazioni» (1968-69), una cornice vuota di 200x220 cm che raccoglie frammenti sonori con le voci, tra gli altri, di Giulio Paolini e Jannis Kounellis registrate su nastri magnetici, era in rapporto con «Frammenti di un autoritratto anonimo n. 1» (1969-70), grande tela nera, un rovesciamento dell’opera precedente in cui si assiste alla trascrizione linguistica dei nastri registrati. Il senso della misura in allestimenti museali illuminava le proposte dei nostri galleristi. Lo si vedeva da Magazzino, con una grande installazione di Pedro Cabrita Reis abbinata a opere di Mircea Cantor, 60 fotografie della serie «Holy Flowers» (6mila euro per esemplare). Sulle pareti si fronteggiavano dipinti di David Schutter, presente a Documenta, e opere di Alessandro Piangiamore, tra le più richieste e vendute (5mila euro ciascuna).

Nella sezione «Unlimited», oltre a un lavoro di Massimo Bartolini (in collaborazione con Massimo De Carlo e Frith Street) e il direttore Mauro Nicoletti con Lévy Gorvy proponeva lo stupefacente «Spazio Ambiente» del 1970 di Enrico Castellani. Proprio la sezione «Unlimited» rimarcava l’eccellente momento di forma dell’arte italiana.  Yuri Ancarani era presentato da Zero e Isabella Bortolozzi; Francesco Arena da Raffaella Cortese (che nello stand puntava sull’abbinata Bloom-Jonas) e Sprovieri; Icaro da Minini-P420; Giulio Paolini da Alfonso Artiaco e Calzolari da Kamel Mennour-Boesky. Arte internazionale, invece, da Continua, con, fra gli altri,  una monumentale parete di Pascale Marthine Tayou e opere di Chen Zhen e Gormley ma anche Pistoletto; a «Unlimited» la mensa allestita all’interno di una casa costruita con pentole da Subodh Gupta era sempre affollata, così come destava ammirazione la sequenza di casseforti di Carlos Garaicoa. I direttori della galleria si dichiaravano soddisfatti: «C’è stato interesse per tutti gli artisti proposti, in particolare per Gormley con tre acquisizioni. Diverse le trattative che speriamo potranno avere buon esito; tra queste una Fondazione australiana per un’opera di Gupta».

Veterani e matricole Fabrizio Padovani e Alessandro Pasotti della P420 optavano per un rigoroso stand dedicato a Goran Trbuljak, con opere legate ai concetti di originalità, novità, unicum e autorialità. «Siamo all’esordio a Basilea e possiamo dire che è andata sorprendentemente bene, considerato ciò che abbiamo scelto di esporre e la posizione del nostro stand, affermava Fabrizio Padovani. Abbiamo venduto tre opere di Trbuljak, le uniche in vendita sulle cinque esposte (prezzi dai 12 ai 18mila euro, Ndr), e altre non allestite. Inoltre due musei sono interessati alle opere presentate a "Unlimited": il MoMA di New York a Trbuljak, mentre il Centre Pompidou di Parigi a Paolo Icaro». Uno sguardo al passato, ma con gli occhi del presente, era quello di Vistamare, con Bethan Huws che offre una rilettura della personalità e dell’opera di Marcel Duchamp, laddove il ready-made perde il primo termine del binomio e diviene opera nuova, cone si vedeva anche nella vasta installazione con scolabottiglie rielaborati a «Unlimited». Un dipinto di Afro contiguo al «Giardino della Speranza» commissionatogli nel 1958 per il palazzo dell’Unesco a Parigi, incastonato tra gli eccellenti Vedova alla Galleria dello Scudo, sorprendenti dipinti materici di Aricò degli anni Novanta nello spazio di Invernizzi (dove Morellet, protagonista anche a «Unlimited», faceva la parte del leone in fatto di richieste e vendite), Manzoni da Mazzoleni (prezzi dai 200mila ai 5 milioni di euro) erano tra le più interessanti offerte sul fronte «classico».

Su quello contemporaneo, Lia Rumma, «promossa» (era ora) nella «Main Section», si affidava, fra gli altri, a William Kentridge, Alfredo Jaar e Vanessa Beecroft. Da Giò Marconi un dipinto di Markus Schinwald troneggiava su un «villaggio» di «Sculpture House» di Fredrik Værslev (ma nello stand si trovavano anche piccoli e preziosi dipinti di Günther Förg dai 15 ai 20mila euro, grandi carte di Kerstin Brätsch da 60mila euro, mentre ne erano richiesti 150mila per una grande tela, e opere di Da Corte a 48mila euro). «Le vendite sono soddisfacenti, osservava Giò Marconi, anche se la tendenza del collezionismo oggi va più facilmente verso il moderno. Dal canto mio, per Frieze Masters a Londra sto preparando uno stand monografico su Enrico Baj, focalizzandomi sulla produzione più “politica”, in collaborazione con Luxembourg Dayan».

Nella sezione «Art Editions», il capolavoro nello stand di Marco Noire era Insicuro noncurante (1972) di Alighiero Boetti (il MoMA di New York ne possiede un esemplare), una sorta di compendio dell’opera dell’artista torinese dal 1966 al 1975. Ce lo mostrava con orgoglio Silvia Chessa, contitolare della galleria: «Abbiamo avuto contatti importanti e anche dal punto di vista delle vendite è andata bene. Abbiamo portato libri d’artista ed edizioni che partivano da 2mila euro fino a cifre più importanti per quelli rari degli anni Settanta». Ecco allora il libro Ciò che non ha limiti e che per sua stessa natura non ammette limitazioni di sorta, concepito da Giulio Paolini nel 1968. Oppure quello che la gallerista definisce «il libro dei libri d’artista», quello con le pagine «cieche» intitolato Libro dimenticato a memoria di Vincenzo Agnetti. «Sa che ho acquistato una formella di Manzù?», ci sussurrava all’orecchio Massimo Minini, tra i suoi Kapoor, Icaro, Paolini e Hicks; quasi un’eresia dichiarata nel regno del collezionismo più modaiolo, cui Minini contrappone, ironizzando con il gigantismo, la sua piccola sezione «Limited», una vetrina che raccoglieva opere piccolissime, compreso un arazzo di Boetti. Aveva da poco ricevuto il premio alla carriera che la giuria di Art Basel gli assegnava per «aver fondato e diretto una galleria esemplare», ma a noi ha mostrato le sue fotografie, scattate dall’auto sulla strada da Kassel a Basilea.

Franco Fanelli, 03 luglio 2017 | © Riproduzione riservata

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