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Franco Fanelli
Leggi i suoi articoliUn ingrediente della retorica e dell’aura romantica che circondano l’arte dell’acquaforte, non a caso spesso definita «alchimia», è la tossicità dei materiali utilizzati, in primis quella degli acidi impiegati per la morsura delle matrici. Ma dagli anni Ottanta del ’900 si sono intensificate le ricerche per limitare la pericolosità delle sostanze; oggi l’incisione atossica, sia pure con qualche enfasi fondamentalista (senza contare che anche altre discipline, come la pittura e la scultura, non sono esenti da vari livelli di tossicità) è diventata una pratica diffusa anche nelle scuole d’arte.
All’«incisione sostenibile» è dedicato un manuale di Francesca Genna (1967). La prima metà del volume, arricchita dalla descrizione di esperimenti condotti nei laboratori dell’Accademia di Belle Arti di Palermo, dove insegna l’autrice, è dedicata ai materiali sostitutivi di quelli tradizionalmente in uso: vernici acriliche diluibili in acqua, solventi non pericolosi per inalazione o contatto (ad esempio l’olio di semi in luogo dell’acquaragia o di altri diluenti) e mordenti (come il solfato di rame) che solo in parte possiamo considerare nuovi, dal momento che l’utilizzo di soluzioni saline al posto del nocivo acido nitrico risale al XVI secolo ed è descritto nella trattatistica storica, da Benvenuto Cellini ad Abraham Bosse.
In tutto moderne sono invece le tecniche descritte nella seconda parte. A imprimere una svolta ai procedimenti incisori è stata infatti l’adozione di lastre e di film ottenuti da polimeri, sensibilizzabili tramite la semplice luce solare o lampade UV, le cui istruzioni per l’uso sono compiutamente indicate nel manuale. In tal caso l’incisione cerca complicità in un versante, quello della fotografia, che sottrasse via via alla grafica incisa le finalità meramente riproduttive e/o illustrative, affidandola all’inventiva e al magistero degli artisti.
Materiali e metodi per l’incisione sostenibile, di Francesca Genna, 174 pp., ill., Navarra Editore, Palermo 2015, € 25,00
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