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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliJirí Kolár di fronte alle immagini è come un alchimista alle prese con gli elementi. All’artista ceco nato nel 1914, il cui nome è strettamente legato alla tecnica del collage, il Museo di Pittura Murale in San Domenico e la galleria Open Art dedicano la prima retrospettiva italiana dopo la morte, avvenuta a Praga nel 2002.
Il percorso, ospitato in entrambe le sedi fino al 28 giugno, è curato da Francesca Pola e Mauro Stefanini e presenta una selezione di oltre 150 opere realizzate nell’arco dell’intera carriera. Nei suoi lavori frammenti di scrittura e opere d’arte sono le esili tracce della realtà scomposta e ricomposta con precisione chirurgica per dare luogo a visioni labirintiche di mondi sconosciuti. La scompaginazione analitica degli oggetti nel periodo giovanile lascia presto il posto agli automatismi associativi e alle giustapposizioni degli anni Quaranta, nelle quali accostando personaggi simili in contesti differenti l’autore produce sottili slittamenti di significato.
Negli anni Sessanta si fa spazio il chiasmage, dove cifre, note e lettere sono assemblate per comporre figure o ricoprire oggetti che rivelano una natura caleidoscopica. Poi i rollage, in cui due immagini sono tagliate a strisce giustapposte in un’unica, ambivalente immagine finale che rende manifesto lo scollamento tra la realtà e la sua rappresentazione, il conscio e l’inconscio, infine le più recenti sagome di farfalle e di altre figure legate alla rigenerazione. La mostra è corredata da una monografia in italiano e in inglese curata da Francesca Pola (Carlo Cambi Editore).
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