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Davide Landoni
Leggi i suoi articoliAugusto Brun ha aperto la sua prima galleria a Milano nel 1993, guidato da una profonda passione per l’arte, la stessa che, vent’anni dopo, lo ha spinto ad aprirne altre due insieme al fratello, Marco Brun. Le nuove sedi, tra Firenze e Milano, abbracciano la storia dell’arte a trecentosessanta gradi: dai mobili antichi ai dipinti, dalle sculture all’arte orientale, fino al moderno e al contemporaneo. Brun Fine Art espone le proprie opere nelle più prestigiose fiere internazionali, tra cui le biennali di Firenze e Roma, Nomad, Frieze Masters a Londra e TEFAF Maastricht. A conclusione dell’anno abbiamo chiesto a Marco Brun di raccontarci come ha vissuto questo 2025 di trasformazioni, tra nuovi progetti espositivi e un’idea di collezionismo sempre più aperta, contaminata e contemporanea.
Bilanci di fine anno. Che 2025 è stato per la galleria?
È stato un anno intenso e stimolante, un periodo di consolidamento ma anche di rinnovamento. Le fiere hanno confermato il buon momento del mercato, soprattutto per chi sa proporre un dialogo autentico tra passato e presente. Il bilancio è senz’altro positivo: abbiamo rafforzato relazioni con collezionisti storici e ne abbiamo strette di nuove, segno che la curiosità verso l’antiquariato di qualità e le contaminazioni con il contemporaneo è viva più che mai.
La vostra galleria ha una lunga storia legata all’antiquariato. Che cosa significa oggi portare avanti questa eredità in un contesto culturale e di mercato in piena trasformazione?
Portare avanti questa eredità significa rinnovarla ogni giorno. Non si tratta solo di custodire la tradizione, ma di darle nuove prospettive. La nostra galleria crede nel dialogo: tra epoche, culture e sensibilità estetiche. Ci piace pensare a noi come a un ponte tra l’antico e il contemporaneo, dove ogni oggetto racconta una storia e ogni accostamento genera un senso nuovo.
Come si sono evoluti i gusti e le esigenze dei nuovi collezionisti rispetto a quelli di una generazione fa? Si può ancora parlare di «collezionismo d’antiquariato» in senso classico?
Oggi i collezionisti sono più curiosi, più informati e più aperti alla contaminazione. Non cercano solo un oggetto, ma un’esperienza estetica e culturale. Parlare di «collezionismo d’antiquariato» in senso classico forse non basta più: oggi si colleziona il racconto, la connessione, l’emozione. Negli ultimi anni abbiamo lavorato proprio in questa direzione, costruendo percorsi personalizzati e proponendo accostamenti che invitano a guardare oltre le categorie.
Si parla infatti spesso di «ricamare su misura» una proposta per il cliente. In che modo la vostra galleria sta interpretando questo concetto nella propria identità curatoriale?
Per noi significa ascolto, sensibilità e cura totale. Ogni ambiente, ogni cliente, ogni collezione ha un’anima propria, e il nostro compito è interpretarla attraverso le opere, costruendo un percorso su misura. Non ci limitiamo a proporre un oggetto, ma accompagniamo il collezionista in ogni fase: dalla scelta alla visione, fino all’inserimento dell’opera nel suo spazio. Crediamo che sia fondamentale che il cliente possa vedere e percepire l’opera all’interno della propria abitazione, perché solo così si comprende davvero il dialogo che nasce tra l’opera e l’ambiente. Per questo offriamo un servizio completo: ci occupiamo personalmente del trasporto, dell’allestimento e di ogni dettaglio tecnico e logistico.
Quali criteri guidano le vostre scelte quando accostate una console del Settecento a un oggetto di design contemporaneo?
Il nostro obiettivo è valorizzare la qualità e l’unicità dell’antico. Ogni pezzo d’epoca porta con sé una storia, una maestria artigianale e un calore che il design moderno può mettere in risalto, creando contrasti eleganti e mai forzati. La sfida è trovare l’armonia senza forzare la mano. Quando un pezzo antico incontra un oggetto contemporaneo, nasce un equilibrio nuovo: non è un contrasto, ma una conversazione. Il segreto è rispettare le identità di entrambi e lasciare che il tempo faccia da collante invisibile.
Da dove nascono le vostre scelte?
Le nostre scelte nascono da un equilibrio tra gusto estetico ed esperienza: osserviamo proporzioni, patine, materiali e dialoghi di colore, cercando sempre un’armonia naturale. Non si tratta solo di intuizione, ma di conoscenza profonda dell’oggetto antico e della sua capacità di vivere in un contesto attuale senza perdere autenticità. Il risultato che cerchiamo è uno spazio raffinato ma vivibile, dove l’antico non appare distante o museale, bensì inserito con naturalezza nella vita contemporanea. È proprio questo incontro tra epoche che dà forza e personalità agli ambienti e rende l’antiquariato ancora oggi attuale e desiderabile.
Sempre più gallerie si trasformano in luoghi esperienziali, dove l’oggetto diventa parte di un racconto. Qual è la fruizione oggi che offre la galleria?
Per noi l’antiquariato è prima di tutto un’esperienza culturale: ogni oggetto racconta un’epoca, un gusto, una storia importante. La galleria oggi non è più soltanto un luogo di vendita, ma uno spazio di incontro e di racconto, dove il visitatore può vivere l’emozione del tempo attraverso il contatto diretto con le opere. Cerchiamo di offrire una fruizione immersiva e personale, dove ogni ambiente suggerisce un dialogo tra passato e presente. Gli oggetti non sono esposti come in un museo, ma inseriti in contesti che ne fanno percepire la bellezza e l’attualità: il visitatore può immaginarseli già nella propria casa, come parte del suo quotidiano.
Come immaginate la galleria del futuro: più museo, più atelier o più casa?
La galleria del futuro, per noi, sarà sempre più una «Casa del collezionista», un luogo accogliente e raffinato dove la competenza antiquaria si unisce all’esperienza sensoriale e alla consulenza personalizzata. Vogliamo che chi entra non si senta spettatore ma parte di una storia, quella dell’arte, del collezionismo e del gusto italiano, che continua a evolvere.
A proposito di «case». Cosa potete raccontarci di Casa Conte?
Casa Conte è uno dei progetti più stimolanti dell’ultimo anno e rappresenta appieno la visione che stiamo cercando di sviluppare come galleria: quella di un dialogo costante e di una contaminazione fertile tra linguaggi e ambienti diversi, rendendo possibile la creazione di nuove connessioni e sinergie creative. Nato durante la scorsa edizione del Salone del Mobile e destinato a durare anche per tutto il 2026. Si tratta di un’iniziativa trasversale che mette in relazione il mondo dell’antiquariato con quello del design e dell’arte moderna, coinvolgendo tre gallerie specializzate in epoche differenti e il brand di lusso Conte, noto per le sue creazioni su misura. L’obiettivo è costruire un percorso espositivo diffuso che racconti come epoche, materiali e stili possano convivere armoniosamente in ambienti abitati e vissuti. La nuova esposizione, che aprirà a breve, sarà focalizzata sul tema dei ritratti.
I collezionisti di oggi sembrano muoversi con grande fluidità tra arte, moda, design, digitale. Come sta cambiando la fruizione dell’«opera d’arte» negli ultimi anni?
La fruizione dell’opera d’arte oggi è diventata più ibrida, esperienziale e partecipativa. Il pubblico non si limita più a contemplare un’opera, ma desidera comprenderla, viverla, integrarla nel proprio quotidiano. L’arte non è più confinata a uno spazio sacro o distante: entra nelle case, nei luoghi di lavoro, negli ambienti digitali, diventa parte della vita. Questo nuovo approccio riflette un desiderio di relazione, più che di possesso: si colleziona per costruire un dialogo, per circondarsi di significati, non solo di oggetti. In questo scenario, anche l’antiquariato trova una nuova vitalità: non come testimonianza di un passato immobile, ma come linguaggio vivo, capace di dialogare con il design, con la tecnologia e con le sensibilità del presente. L’opera d’arte, oggi, è un ponte tra tempi e mondi diversi e questo, per noi, è il segno più bello della sua attualità.
Attualità in senso stretto che vede due mostre coi fiocchi in giro per Milano. Qual è l’importanza dei due progetti espositivi che avete appena realizzato su Lucio Fontana e Francesco Hayez?
Entrambe le mostre nascono con l’intento di indagare la continuità del gesto artistico attraverso il tempo. In «Hayez e il suo tempo. Ritratti della Milano Romantica» abbiamo voluto riscoprire la forza espressiva e simbolica della pittura ottocentesca restituendole tutta la sua attualità nel linguaggio del sentimento e della rappresentazione. La mostra è all’interno di Palazzo Borromeo d’Adda, uno dei palazzi storici di Milano: un contesto che amplifica la valenza culturale del progetto e crea un dialogo diretto tra le opere e l’architettura che le accoglie. Con Fontana, invece, abbiamo esplorato il gesto come atto di rottura e di rinascita, un linguaggio che oltrepassa la materia per aprirsi allo spazio e al pensiero. Sono due mostre fondamentali perché dedicate a due artisti che hanno fatto la storia dell’arte, ma che continuano a parlare a un pubblico ampio e variegato. In modi diversi, Hayez e Fontana incarnano la nostra visione di galleria: un luogo dove epoche e sensibilità si incontrano, generando nuove letture e nuove emozioni.
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