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Una foto di Mimi Mollica dal libro «Moon City»

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Una foto di Mimi Mollica dal libro «Moon City»

In una Londra alienante, Mimi Mollica punta alla luna

Realizzati con telescopio e smartphone, gli scatti nell’ultimo libro del fotografo palermitano restituiscono un ritratto poetico e straniante della capitale britannica, sospesa tra escapismo, solitudine e opportunità di redenzione

Gilda Bruno

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Delle fotografie di Mimi Mollica, fotografo palermitano dal 1996 basato a Londra, stupisce l’intensità con cui raccontano ambiente e umanità in un continuo tutt’uno: due facce della stessa medaglia, a sé stanti, eppure inscindibili l’una dall’altra. È questo connubio tra esperienze di vita e morfologia geografica e socioculturale che, unite a un desiderio di spingersi oltre ad apparenze molto spesso ingannevoli, contraddistingue la sua produzione pluridecennale. 

Che si tratti di denunciare l’infiltrarsi silenzioso della mafia nella comunità, negli sguardi e nelle vedute naturali e architettoniche della Sicilia di tutti i giorni, come l’artista ha fatto nella sua serie autobiografica «Terra Nostra» (2008-12), o di rivolgere invece lo sguardo all’altrettanto concitata realtà di paesi a lui lontani, per Mollica la fotocamera non è solo una lente di ingrandimento volta a portare chiarezza, ma anche un’opportunità d’immortalare per sempre istanti sfuggevoli di stupore, di gioia, di curiosità e di speranza.

Dai cantieri a cielo aperto della soleggiata Dakar, dove il prezzo da pagare per il progresso si misura in colate senza fine di laterizi e cemento («En Route to Dakar», 2007-08), fino alle favelas di Rio de Janeiro e San Paolo, dove spiagge dalla sabbia bianca, prese d’assalto dai turisti ignari per la loro atmosfera paradisiaca, celano vissuti di gran lunga meno invidiabili e, per molti versi, ancora invisibili («Marginal Brazil», 2003-05), passando poi per le animate strade dell’Est di Londra, sua seconda casa, quando si è trattato di esprimere il suo credo, Mollica non ha mai badato a limiti. Con Moon City, il suo nuovo libro, si spinge ancora oltre per farci osservare le cose, la vita, dall’alto.

«Moon City riflette una società in crisi, in cui gli individui scivolano nell’anonimato e il potere è silenziosamente guidato da forze aziendali invisibili, l’autore racconta nel volume. Sullo sfondo dello skyline riflettente del distretto finanziario di Londra, la luna emerge come un contrappunto e un simbolo della natura. La sua presenza duratura invita alla pausa, alla consapevolezza e a una resa dei conti collettiva».

Da italiana a Londra, «Moon City» ha il sapore amaro di chi si scontra con le sue criticità. Come nasce questo progetto?
Ritrovare un senso delle cose, guardare in alto verso un angolo di cielo e riflettere sull’inerente conflitto che viviamo in questi tempi strani. Questi sono i motivi che mi hanno spinto a creare Moon City. I palazzi della City offrono uno spettacolo di luci e riflessi ammalianti, bellissimi da osservare, ma che celano i presupposti osceni di un sistema fondato sull’opportunismo e sullo sfruttamento delle risorse naturali. Noi diventiamo ingranaggi senza volto di questa macchina, finché non alziamo lo sguardo verso la luna. Unico giudice imparziale, la luna ci offre ristoro e tiene a bada le ambizioni dei palazzi del potere capitalista.

Ciò che colpisce di più del libro è la maniera in cui astrae una città tanto ramificata quanto caotica come Londra in immagini iper ravvicinate che ne racchiudono l’energia, i paradossi e persino i visi di alcuni dei suoi residenti. Come ha sviluppato questi scatti? 
Ho scattato tutte le immagini del volume usando lo smartphone e il telescopio. Questa combinazione, che mi ha permesso di «avvicinarmi» al soggetto e guardare la luna in tutta la sua gloriosa bellezza, ha reso tutto un po’ più difficile dal punto di vista tecnico. La messa a fuoco, l’inquadratura, l’esposizione diventano tutti passaggi più complessi e difficili da gestire. Queste difficoltà, però, hanno facilitato la scoperta di nuovi linguaggi visivi, quali gli sfocati intenzionali, gli aloni di luce ed altre «soluzioni» che si sono inserite perfettamente nella narrativa del libro. 

Ognuna di queste foto racconta una storia tutta sua. È un’ottima metafora per una città come Londra, abitata da milioni di persone che, malgrado questo, spesso finiscono per sentirsi alienate, abbandonate a sé stesse. Quali nuove prospettive sulla capitale britannica sono emerse dal tuo guardare dal e verso l’alto, nel tuo cercare un distacco da essa? 
Con Moon City vorrei invitare gli altri a riflettere sui conflitti che caratterizzano la realtà di oggi giorno, dove la divisione porta all’isolamento e l’ingordigia dei potenti si traveste con superfici luccicanti e false promesse di prosperità. Questo gioco, però, viene smascherato dalla sobrietà di una luna tanto bella quanto severa e misteriosa.

Mi piacerebbe che selezionasse tre scatti tratti da questa serie che ritiene ne immortalino l’essenza: che cosa ricorda dell’istante in cui li ha realizzati? Quali emozioni hanno evocato in lei e che cosa li rende così rappresentativi? 
La silhouette del palazzo in costruzione è una tra le fotografie che preferisco di questo progetto. In prima luogo, perché si vedono sia la luna che la città nella stessa inquadratura, e poi perché ritengo che la verticalità delle assi di ferro sostenga la tensione palpabile tra questi due elementi. Questa è una foto scattata di recente, lo scorso aprile. Ricordo che non potevo dormire, come spesso mi accade durante la luna piena. Erano circa le quattro del mattino e la luna si era abbassata fino a quasi scomparire tra i palazzi. Non ho perso tempo e, una volta sistemato il telescopio sul balcone di casa mia, ho seguito pazientemente la traiettoria della luna e scattato questa ed altre foto simili. Scegliere lo scatto è stato difficile, ma più riguardo questa fotografia, più sono convinto di aver fatto la giusta selezione. Il profilo sfocato del ragazzo con gli occhiali che guarda verso l’alto appare sulla copertina di Moon City. Fotografare la gente per strada utilizzando il telescopio e lo smartphone è molto difficile, visto che le persone si muovono rapidamente e il campo di ripresa è molto stretto: i soggetti sfuggono dall’inquadratura e dalla messa a fuoco in un lampo. Anche se ho moltissimi scatti perfettamente nitidi, ho deciso di utilizzare solo le foto delle persone sfocate per creare più distanza e un senso di anonima alienazione. La fotografia dell’elicottero è stata anch’essa molto difficile da catturare, per via della velocità del veicolo rispetto alla lunghezza della focale fissa del telescopio. Questa immagine è molto importante per Moon City, perché offre quel senso d’urgenza che pervade tutto il lavoro. È proprio questa urgenza che rende il progetto rilevante proprio adesso. L’urgenza climatica, le guerre, il ritorno dei nazionalismi e l’enorme divario economico sono solo alcuni degli elementi che spero affiorino nella mente di chi «legge» Moon City più in profondità.

C’è una sensazione che, credo, accomuna chiunque si ritrovi a osservare le foto al suo interno: un senso di finitezza e, alle volte, impotenza, di fronte alla grandezza, al caos e al mistero di ciò che ci circonda. Che cosa ti auguri che questo volume risvegli in chi ne sfoglia le pagine?
Mi piace molto come la metti. Oltre a quello che ho detto nella mia risposta precedente, la mia speranza è che un po’ di poesia ci possa aiutare ad oltrepassare questo capitolo buio della nostra storia.

Gilda Bruno, 29 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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