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Gilda Bruno
Leggi i suoi articoliChe cosa è peggiore? Una scena di guerra che documenta fedelmente le conseguenze distruttive di un conflitto sulla popolazione che le soffre, o un’immagine che, pur apparendo verosimile, sebbene bizzarra (un capo di stato che improvvisa un balletto in una seduta parlamentare plenaria; il Presidente degli Stati Uniti nei panni di papa Francesco ritratto su un trono di velluto rosso e foglia d’oro a pochi giorni dalla sua scomparsa; una giovane attrice che rispecchia pienamente i canoni della bellezza caucasica odierna, le cui performance competono con quelle di attori in carne e ossa, pur esistendo unicamente nel suo stato immateriale), è invece un prodotto dell’IA? Quale di queste scene è più violenta, se per violenta intendiamo la loro capacità non solo di scioccarci, o sorprenderci, nell’immediato, ma soprattutto di restare presenti nel nostro inconscio, contribuendo così a influenzare la nostra visione del mondo?
Sono domande su cui interrogarsi, in vista dell’intervista con Eva Leitolf e Giulia Cordin, docenti del corso di Fotografia e Video Studio Image presso la Facoltà di Design e Arte della Libera Università di Bozen-Bolzano, nonché cocuratrici della nuova collettiva «Violent Images-Broomberg & Chanarin, Eva Leitolf, Letizia Nicolini, Sophia Rabbiosi, Viola Silvi», aperta fino all’8 novembre al Foto Forum di Bolzano. Quesiti a cui risulta difficile dare una risposta dal momento che, come raccontano, «questo è un tema in continuo mutamento».
Oggigiorno, alla luce delle guerre in corso, «ha acquisito una risonanza molto specifica, ma quando abbiamo proposto il focus della mostra nel 2019, la framework interpretativa e le urgenze che motivavano il progetto erano diverse», aggiungono le due cocuratrici. Piuttosto che focalizzarsi sulla violenza letterale che inabita i media visivi, quello che interessava loro era capire come queste immagini funzionano: «Rimetterne in discussione la costruzione, la struttura, come vengono contestualizzate, e come circolano». Il dilemma da risolvere era uno: «Come si mostra e si circoscrive la violenza?». Le risposte sono tante quante le opere che compongono la collettiva.

Un’opera di Viola Silvi
Per invitare a un’esperienza di lettura più lenta delle notizie, l’artista Viola Silvi ha riprodotto le prime pagine di un giornale a punto croce: un’attività che «si sforza di interrompere il flusso senza fine di immagini» e storie, incoraggiando maggior introspezione. Qualcosa di simile accade nei poster realizzati dalla Chopped Liver Press di Adam Broomberg e Oliver Chanarin, dove la ripetizione di citazioni più o meno ironiche, stampate in caratteri cubitali in tinte rosso fuoco e impresse su 100 pagine dell’edizione internazionale del «New York Times», ristabiliscono le dinamiche di forza tra «news effimere», rimpiazzate ogni giorno, e i messaggi di critica lasciati su di esse dai due artisti. Altrove, «Immagini di repertorio» di Sophia Rabbiosi denuncia l’utilizzo della medesima stock image in 21 notizie rilasciate da outlet differenti, evidenziandone la strumentalizzazione, mentre Letizia Nicolini e il suo «Unmarked» catturano il legame tra potere e l’IA attraverso un carosello di immagini che, pubblicate sui social di Donald Trump, non sono tuttavia state dichiarate come artificiali.
Lo scatto che più di tutti racchiude l’ambiguità del nostro consumo visivo oggigiorno, il modo in cui la violenza si annida laddove non penseremmo, è «Orange Grove» di Eva Leitolf. Parte del suo progetto «Postcards from Europe» (2006-), la fotografia, scattata nel 2010 a Rosarno, in Calabria, ritrae un aranceto baciato dal sole dopo la pioggia. Un’immagine serena, persino speranzosa, se non rappresentasse l’epilogo di una rissa tra residenti locali e braccianti immigrati, sfociata in attacchi razziali e finita in un’evacuazione forzata dello stesso sito.
Nell’era presente, «siamo costantemente bombardati da visioni violente, ma quando queste ci raggiungono private di una spiegazione rischiano di diventare solo rumore, o di farsi propaganda», spiegano le curatrici. In questo contesto, «saper guardare si fa atto intrinsecamente politico».

«Baby its Cold Outside» nella mostra «Violent Images, Broomberg-Chanarin» al Foto Forum di Bolzano

Eva Leitolf, «PfE0017-ES-030106 Ladders, Melilla», 2006