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Margherita Panaciciu
Leggi i suoi articoliIl titolo della mostra, «The Absence That We Are» (dal 18 settembre al 31 ottobre), è tratto da una delle ultime poesie di Rainer Maria Rilke: un verso che racchiude in sé la tensione tra esistenza e mancanza, presenza e memoria. È su questo confine che si muove la pittura di Victor Man, artista rumeno tra i più enigmatici e profondi del panorama contemporaneo, che inaugura la sua prima mostra personale nella sede londinese di David Zwirner dopo l’ingresso nella scuderia della galleria nel 2024. Man è noto per un linguaggio pittorico che sfugge a definizioni semplici: nei suoi lavori convivono riferimenti letterari, simboli ricorrenti, influenze spirituali ed estetiche dal sapore arcaico e modernissimo al tempo stesso. I dipinti in mostra sono permeati da un tono elegiaco, tra sogno e mistero, e affrontano i temi dell’identità, del tempo, della nascita e della morte come stati coesistenti. Al centro della mostra vi sono diversi autoritratti, in cui l’artista si confronta con la propria immagine non in termini di affermazione personale, ma come testimone dell’instabilità del mondo. L’autoritratto si fa dunque «specchio», come nell’opera dove il volto di Man si fonde con un teschio, richiamando la tradizione vanitas e allo stesso tempo alludendo a una genealogia di antenati e discendenti.
Accanto agli autoritratti, le figure femminili appaiono isolate, sospese in atmosfere quasi metafisiche, come in «Peripatetic Maiden with Bat» (2024), dove una giovane donna tiene in mano un pipistrello nero e porta un nastro rosso tra i capelli, oppure in «Untitled (From Wounds and Starry Dreams)» (2022), dove una figura in abito verde guarda in lontananza, con occhi simili a maschere antiche. La simbologia ricorrente, scheletri, bambini, pipistrelli, maternità, crea un tessuto mitico, stratificato, in cui il tempo non è mai unidirezionale. In «Maternity (Curve Delle Anime)» (2025), una donna allatta un neonato mentre un teschio incombe nella composizione, rendendo visibile l’interdipendenza tra vita e morte, tra umano e bestiale, tra presente e passato. Questi elementi sono parte di una narrazione più ampia che, come sottolinea il curatore Alessandro Rabottini, riflette su «diverse dimensioni del tempo e le forme del sentimento... l’erotismo accanto alla spiritualità, l’affetto accanto alla sua rinuncia». Pur affondando le radici in una cultura precisa, quella rumena, con i suoi canti funebri, le sue leggende e la sua spiritualità popolare, l’arte di Man parla un linguaggio universale. Ogni tela è un invito a rallentare, a meditare sull’inevitabile, a cercare tracce di verità nei margini del visibile. Accompagnata da un catalogo edito da David Zwirner Books, la mostra è occasione per conoscere meglio uno degli autori più poetici del nostro tempo.