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La monumentale «Mano» in acciaio corten di Mimmo Paladino («Senza titolo» 2001) alla stazione Salvator Rosa della metropolitana di Napoli

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La monumentale «Mano» in acciaio corten di Mimmo Paladino («Senza titolo» 2001) alla stazione Salvator Rosa della metropolitana di Napoli

Il restauro nel metrò

La sconfinata diversità dei materiali nelle Stazioni dell’Arte della metropolitana di Napoli

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Giorgio Bonsanti

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Il genuino entusiasmo, che è impossibile non provare per le realizzazioni artistiche nella metropolitana di Napoli, non deve avere il sopravvento sull’esigenza di oggettività nel raccontare un fenomeno dalle caratteristiche, più che di particolarità, di vera e propria unicità. A partire dal 2001, tutte le nuove stazioni della linea 1 della metro (qualcuna anche della linea 6) sono state dotate di opere d’arte realizzate appositamente, secondo il progetto «Le Stazioni dell’Arte» concepito dal 1995 e coordinato da Achille Bonito Oliva su input dell’allora sindaco Antonio Bassolino. Ad oggi le opere site specific che caratterizzano gli ambienti interni ed esterni della metro sono circa 250, e ne sono autori artisti e architetti fra i più noti del panorama internazionale; ma anche altri non meno validi, quand’anche meno diffusamente conosciuti.
Nel progetto generale vi sono alcune componenti che lo qualificano ulteriormente; la manutenzione dei manufatti, che in buona misura è consistita in vere e proprie operazioni di restauro, è stata affidata all’insegnamento di restauro dell’Accademia di Belle Arti, che il 5 maggio scorso ha firmato con l’Azienda napoletana della mobilità (Anm) il quarto rinnovo, a partire dal 2006.
Le stazioni funzionano pertanto anche da straordinario cantiere didattico, offrendo una casistica ampiamente significativa dei fenomeni di degrado, di origine antropica come naturale, che possono mettere a rischio le specificità materiali ed estetiche di un manufatto artistico. Come immaginabile, la quantità e diversità di materiali con i quali i manutentori si trovano a misurarsi è sconfinata, e sollecita incessantemente l’intelligenza dei partecipanti. La diversità dei materiali difatti non pone tanto problematiche tecniche quanto di comprensione di che cosa ci sia da fare, fenomeno tipico della conservazione del contemporaneo. Nel nostro caso, comunque, non è dubbio che si debba necessariamente intervenire per perpetuare l’esistenza e la funzione dei manufatti, non è questo un caso in cui possano essere lasciati all’obsolescenza progressiva. Il progetto di conservazione programmata mette dunque di fronte a scelte continue, in cui non c’è nulla di scontato, e che potranno gravare pesantemente sulla saldezza psichica dei responsabili. È evidente difatti che, in particolare per le opere che stanno all’esterno, forme di vandalismo sono una certezza più che un’eventualità, e ai restauratori si richiede pertanto un controllo delle proprie emozioni al limite dell’eroismo: terminare un difficile restauro, tornare il giorno successivo, e trovare che occorre reintervenire da capo... Di queste criticità perfino esagerate hanno dato conto in particolare il coordinatore del percorso professionale n. 4 (Materiali e manufatti ceramici, vitrei e organici. Materiali e manufatti in metallo e leghe) dell’Accademia napoletana, Manlio Titomanlio, e la restauratrice e docente Merj Nesi, nel corso di un convegno di studi tenuto all’Accademia il 5 maggio, intitolato «Arte pubblica in Italia. Le Stazioni dell’Arte di Napoli: conservazione, didattica, ricerca e Terza Missione». Non possiamo dare conto qui della qualità e ricchezza degli interventi, e basti rimandare alla certezza che gli Atti saranno tempestivamente pubblicati, grazie all’impegno particolare della docente Giovanna Cassese, coordinatrice scientifica della convenzione fra Accademia e Anm e curatrice dell’evento insieme a Maria Corbi, responsabile delle Stazioni dell’Arte di Anm. Posso ricordare soltanto la partecipazione sempre stimolante di Achille Bonito Oliva e quella di Fabio De Chirico, direttore generale per la Creatività Contemporanea del MiC. L’argomento trattato del resto offriva prospettive insolite: come conservare frequentemente opere d’arte non ancora tutelabili, perché di autore vivente ed eseguite entro il limite di anni considerato dalla legge (art. 10, comma V del Codice Urbani)? E nel rischio che finiscano per essere una sorta di res nullius: in ogni caso, l’obbligo della conservazione non può spettare ad altri che all’Ente pubblico proprietario. Forse la gravezza degli impegni che si assumevano non era interamente presente all’origine ai politici promotori di questa straordinaria iniziativa: ma non per questo l’apprezzamento nei loro confronti dev’essere minore, anzi.
Nel giorno recente in cui Napoli si fregiava di un primato nazionale, poteva festeggiare altresì il quarto di secolo (approssimativamente) di un altro primato di diversa natura, a carattere addirittura internazionale.
 

La monumentale «Mano» in acciaio corten di Mimmo Paladino («Senza titolo» 2001) alla stazione Salvator Rosa della metropolitana di Napoli

Giorgio Bonsanti, 20 dicembre 2023 | © Riproduzione riservata

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