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La Gam-Galleria d’Arte Moderna di Milano conserva un nucleo di opere di Giuseppe De Nittis (Barletta, 1846-Saint-Germain-en-Laye, 1884), fra le quali c’è la sequenza di tavolette d’incredibile modernità con cui, nel 1872, ritraeva quotidianamente la sommità scabra del Vesuvio e la luce tersa che bagnava il gigante in eruzione.
È la prima volta, però, che la città (con Cms.Cultura) gli dedica a Palazzo Reale la grande mostra «De Nittis. Pittore della vita moderna» (dal 24 febbraio al 30 giugno, catalogo Silvana), curata da Fernando Mazzocca e Paola Zatti. Una novantina i dipinti esposti, su tela o su carta, prestati tra gli altri dalla Pinacoteca di Barletta a lui intitolata, dagli Uffizi, dal Museo Revoltella di Trieste, dalla Gam di Milano ma anche dal Musée d’Orsay e dal Petit Palais di Parigi, perché dopo gli esordi nel 1863 fra i pittori libertari della Scuola di Resìna a Portici («Ogni mattina prima dell’alba uscivo di casa e correvo a cercare i miei amici pittori [...] Che bei tempi! Con tanta libertà, tanta aria libera, tante corse senza fine! E il mare, il gran cielo e i vasti orizzonti!») e brevemente, nel 1866, fra i non meno anticonformisti Macchiaioli a Firenze, dal 1867 De Nittis si trasferì a Parigi con la moglie francese Léontine, e lì trovò una grande fortuna diventando, come gli impressionisti (con cui espose alla mostra «fondativa» del movimento, nel 1874, nello studio fotografico di Nadar), il «pittore della vita moderna».
Di Parigi, non meno che di Londra, che prese a frequentare regolarmente dal 1874, De Nittis seppe restituire la frenesia dei grandi cantieri architettonici («La Place des Pyramides», 1875); il traffico concitato delle carrozze («Piccadilly», 1875); la nebbia mista a smog di Londra, come nel maestoso «Westminster» (1878), premiato con la Medaglia d’Oro all’Esposizione Universale di Parigi di quell’anno, mentre lui riceveva la Légion d’honneur; l’eleganza delle dame parigine, di cui il dipinto «Signora col cane-Ritorno dalle corse» (1878), dal taglio audacemente fotografico, o «Il Kimono color arancio» del 1883-84 ca (a Parigi impazzava allora il «japonisme»), sono prove di stupefacente intensità.
De Nittis non recise, però, i legami con l’Italia, e con Napoli soprattutto, dove tornava regolarmente: ne è prova un capolavoro come «Pranzo a Posillipo» (1879 ca), grande dipinto non finito e perciò lungamente considerato «minore» ma poi diventato a buon diritto un’opera identitaria dell’artista, nel quale prima Diego Martelli, poi Giuliano Matteucci, videro un’affinità con Manet per il taglio compositivo e per la qualità della luce.
La sua vicenda, interrotta dalla morte improvvisa a 38 anni soltanto, è ripercorsa in mostra dal cortometraggio a cura di Livia Ficoroni con Micol Forti, che mette in luce i suoi rapporti (non certo di sudditanza artistica ma di vera amicizia) con figure come Manet, Degas, Caillebotte, mentre rievoca l’atmosfera di quella Parigi capitale dell’arte e della cultura in cui convergevano artisti da tutto il mondo.

«Pranzo a Posillipo» (1879 ca), di Giuseppe De Nittis (particolare). © Comune di Milano, Galleria d’Arte Moderna, Milano
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