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Il museo alza il VOLUME!

Guglielmo Gigliotti

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Non una galleria, ma uno spazio a Roma che, da 18 anni, gli artisti con le loro opere stravolgono anche nella sua struttura architettonica: una mostra ne ricostruisce una trentina

Fino al 20 gennaio, il Musée d’art moderne et contemporain di Saint-Etienne Métropole (a una quarantina di chilometri da Lione) ospita, con il titolo «Passaggi», una mostra su un originale progetto legato all’arte contemporanea, quello dello spazio espositivo VOLUME!, fondato nel 1997 a Roma, nel quartiere di Trastevere, in via San Francesco di Sales, dal neurochirurgo e collezionista Francesco Nucci. Trenta dei circa sessanta interventi installativi e ambientali susseguitisi finora in quello spazio rivivono in forma di traccia espositiva di quanto avvenuto nelle articolate sale messe a disposizione da Nucci agli artisti, per trasformarne con assoluta libertà aspetto architettonico e percorsi. Nel museo francese diretto da Lóránd Hegyi, in un percorso a base di piccoli ambienti a forma di casupola, si vedono opere, tra gli altri, di Gianfranco Baruchello, Christian Boltanski, Gregorio Botta, Pedro Cabrita Reis, Gianni Dessì, Jimmie Durham, Flavio Favelli, Regina José Galindo, Giuseppe Gallo, Carlos Garaicoa, Marco Gastini, Jannis Kounellis, H.H. Lim, Fabio Mauri, François Morellet, Olaf Nicolai, Nunzio, Mimmo Paladino, Alfredo Pirri, Piero Pizzi Cannella, Jaume Plensa, Santiago Sierra, Sissi, Costa Vece e Gilberto Zorio. Il catalogo raccoglie la documentazione di tutta la storia di VOLUME! e testi di Achille Bonito Oliva, Danilo Eccher, Lóránd Hegyi, Lorenzo Benedetti, Silvano Manganaro e Silvia Marsano, oltre a un’intervista con Nucci di Claudia Gioia. 

Francesco Nucci, che cosa l’ha spinta, da neurochirurgo e collezionista, ad aprire uno spazio d’arte?

Quello che cercavo nelle opere era fondamentalmente il rapporto umano con l’artista e la possibilità di comprendere il percorso intellettuale ed emotivo che presiede a ogni opera. Che poi tutto questo si sia trasformato nella creazione di uno spazio a disposizione degli artisti, che, di volta in volta, potessero plasmare, modificare o reinventare per poi lasciare che tutto venisse distrutto per far posto a un nuovo intervento, è arrivato, forse, quasi spontaneamente.

Com’è nato VOLUME!?

Tutto è iniziato con l’acquisto di un appartamento con annessa bottega su piano strada a Trastevere. Affidando a tre artisti (Alfredo Pirri, Jannis Kounellis e Bernhard Rüdiger) l’opera di risanamento e indagine dello spazio architettonico, abbiamo capito che era possibile trasformare quel luogo non in uno spazio atto a contenere opere d’arte ma in qualcosa in grado di farsi opera d’arte. Erano anni in cui a Roma c’era un deserto culturale e morale: VOLUME! nasceva come spazio di resistenza.

Quale rapporto instaura con l’artista?

Un rapporto fondamentalmente umano, di amicizia. Pensare un progetto per VOLUME! vuol dire condividere un processo creativo, qualcosa che, in molti casi, ha fatto nascere un legame che si è consolidato negli anni.

Come e a chi è nata l’idea di questa mostra storica?

Quella di riproporre il lavoro che abbiano svolto è un’idea che avevo da tempo; è stato però il curatore Lóránd Hegyi, che conosce la Fondazione da anni ed è stato abbastanza folle da accettare la sfida, a darmi quest’opportunità invitandomi nel suo museo.

Gli interventi artistici hanno plasmato in diciotto anni la sede di Roma e ora sono stati riproposti rimodellando un intero settore del museo di Saint-Etienne. Una mostra è sempre manipolazione e trasformazione?

Quando parlo degli interventi fatti a VOLUME! non amo la parola mostra (non a caso il sottotitolo usato nel nostro logo è: «un lavoro in via San Francesco di Sales») ma qui, in un museo, la definizione è del tutto pertinente. Non potendo riportare le intere installazioni nel pur vasto spazio che il museo ci ha riservato, circa 1.200 mq, abbiamo dovuto «tradurre» gli interventi iniziali in qualcosa di nuovo. E tradurre, come si sa, è sempre un po’ tradire o, come dice lei, manipolare o trasformare, anche se fondamentalmente abbiamo trasgredito l’idea di mostra per dare vita a un villaggio. A Saint-Etienne ho voluto usare uno dei meccanismi tipici del cervello: la memoria, infatti, non ha un luogo fisso, ma è costituita da una complicatissima rete di connessioni neuronali che interagiscono simultaneamente; il ricordo non è una fotografia del passato ma una sua ricostruzione sbiadita, imprecisa e sempre mutevole. Con la complicità degli artisti abbiamo estratto dei mattoncini di memoria e li abbiamo sistemati all’interno o all’esterno di piccole case, costruendo un villaggio mentale pronto a modificarsi in altri spazi, in altri tempi.

Perché la mostra non ha curatore?

VOLUME! è un lavoro collettivo. Una storia che è in grado di autonarrarsi. Il museo ha fatto il suo lavoro e noi il nostro. L’assenza di curatore è una logica conseguenza dello spirito che sostiene il nostro lavoro.

Se la sua non è una galleria in senso classico, lei che cos’è? La parola mecenate le piace?

Se riferito a me e alle mie scelte non mi piace affatto. Io sono semplicemente una persona che si è voluta regalare, e si regala, delle fantastiche avventure emotive. Avventure che mi piace condividere con gli altri. Fondamentalmente mi sento un osservatore curioso, sempre alla ricerca di senso.

Perché recentemente avete iniziato a collaborare con strutture scientifiche universitarie italiane e straniere, per indagare il rapporto tra funzionamento del cervello e percezione dell’arte? 

Non è facile spiegarlo in poche battute. Quello che posso dire è che le neuroscienze sono in grado di spiegarci benissimo che tutto quello che ho detto finora (la ricerca di senso, l’importanza delle emozioni, i mutamenti indelebili che ogni singola esperienza produce nella nostra mente ecc.) non sono affatto fantasticherie ma qualcosa di documentabile scientificamente. Gli artisti hanno sempre detto, utilizzando il proprio linguaggio, quello che gli scienziati oggi dimostrano con dati incontrovertibili: chi crede che tutto questo snaturi l’estetica o lo studio dell’arte è semplicemente fuori dal tempo.

Guglielmo Gigliotti, 22 luglio 2015 | © Riproduzione riservata

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