Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

«Palazzo dei Congressi, 22 maggio 2010» dalla mostra «One Day You’ll Understand. 25 anni da Dissonanze»

© Giovanni De Angelis

Image PREMIUM

«Palazzo dei Congressi, 22 maggio 2010» dalla mostra «One Day You’ll Understand. 25 anni da Dissonanze»

© Giovanni De Angelis

Cristiana Perrella: «Voglio un Macro sperimentale, aperto e radicato nel territorio»

La nuova direzione del museo romano si apre con una mappatura, «consapevolmente parziale», della scena artistica contemporanea della città e un focus su collettivi indipendenti e spazi autogestiti. Tra le novità una sala cinematografica di 100 posti

Guglielmo Gigliotti

Leggi i suoi articoli

Il Macro-Museo d’Arte Contemporanea di Roma si prepara a una nuova stagione sotto la direzione di Cristiana Perrella, già direttrice tra il 2018 e il 2021 del Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci di Prato. Tra continuità e innovazione, Perrella punta a un museo aperto alla città e alla scena internazionale, che guarda avanti senza dimenticare il suo passato. 

Dopo otto anni di direzioni molto diverse, come intende muoversi al Macro?
Il Macro ha una storia discontinua ma è anche l’unica grande istituzione per l’arte contemporanea in Italia che si è posta in anni recenti come laboratorio di pratiche museologiche radicali. L’esperienza di Macro Asilo, condotta da Giorgio De Finis (2018-19), è stata una cesura controversa e importante rispetto al concetto di museo tradizionale, che ha pensato il Macro come una piattaforma aperta, non selettiva, completamente permeabile alla città. Luca Lo Pinto, con il suo Museo per l’Immaginazione Preventiva (2020-24), ha messo in atto una visione opposta ma altrettanto sperimentale, lavorando sul museo come «magazine», con una programmazione dal taglio editoriale molto preciso, innovativa nei formati e nei contenuti e una notevole apertura internazionale. Non intendo azzerare queste esperienze e ripartire da un ennesimo cambio di passo, da un’ipotesi di museo ancora una volta differente. Credo sia arrivato il momento di provare a lavorare sul Macro come organismo che sopravviva ai suoi direttori, che non si esaurisca nella programmazione ma che abbia un’identità sua, diventando il punto di riferimento per chiunque a Roma voglia accostarsi alla cultura contemporanea, sentendosi accolto. Il mio obiettivo è integrare le visioni di chi mi ha preceduto, consolidando l’idea di un museo che sia insieme sperimentale, aperto e radicato nel territorio.

La prima stagione della sua direzione inaugura l’11 dicembre con un programma tutto dedicato alla Città Eterna a partire dalla mostra principale, «Unaroma», che cura proprio con Luca Lo Pinto. È un passaggio ideale di testimone?
Sì, in parte. Come ho detto, non credo che un’istituzione debba troncare con la sua storia: collaborare con Luca è anche un modo per riconoscere il valore di ciò che è stato costruito e per proseguire il cammino con continuità. La motivazione della scelta è data comunque principalmente dalla stima professionale. Avevamo già avuto modo di collaborare al Centro Pecci, per la bellissima mostra di Simone Forti.

«Unaroma» presenterà, come in un grande affresco corale, l’odierna scena artistica della città. 
È «una» delle possibili visioni della scena artistica contemporanea della città. Non è una mappatura esaustiva, ma una proposta consapevolmente parziale di 41 artisti di diverse generazioni e linguaggi, e un focus particolare su collettivi indipendenti e spazi autogestiti. La mostra non si limita al museo, ma si estende anche a interventi off-site, coinvolgendo attivamente la città.

In programma c’è anche «One Day You’ll Understand», una mostra su «Dissonanze», il festival di musica elettronica che si svolse a Roma tra il 2000 e il 2010. Perché questa scelta?
Perché «Dissonanze» ha rappresentato un momento cruciale nella relazione tra musica e arte visiva a Roma. Giorgio Mortari, ideatore e direttore artistico del festival, ha saputo intrecciare questi linguaggi in modo innovativo, mettendo insieme pubblici diversi e dialogando con l’architettura della città. Il festival negli anni si è svolto in luoghi iconici come l’Ara Pacis o il Palazzo dei Congressi all’Eur. 

Nel programma d’apertura ci sarà spazio anche per l’architettura.
E per l’urbanistica, con un progetto dedicato al tema del diritto alla casa, che è divenuto una delle questioni socio-politiche più rilevanti del nostro tempo. Verrà affrontato da «Abitare le rovine del presente», a cura di Giulia Fiocca e Lorenzo Romito (Stalker), che legge Roma dal punto di vista della rigenerazione urbana. Completerà il programma d’apertura del Macro una mostra dell’artista brasiliano Jonathas de Andrade, con un suo nuovo film, «Sisters With No Name», dedicato a una comunità molto speciale di donne, arrivate a Roma dal Brasile all’inizio degli anni Settanta. Per questo progetto Macro collabora con Conciliazione5, il programma d’arte contemporanea che curo per il 2025 per il Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede, e con la Fondazione In Between Art Film.

Agnes Questionmark, «Nexaris Suite», 2024. Photo: Leonardo Morfini

Un Macro come porto di linguaggi non solo artistici. Ci sarà anche il cinema...
Sì, la novità è che apriremo una vera e propria sala cinematografica di 100 posti, con programmazione quotidiana. 

Perché il cinema?
Perché il cinema, come l’arte, è un laboratorio di nuove idee e di visioni sul nostro tempo. L’apertura della sala è un’opportunità per creare connessioni tra mondi vicini e offrire al pubblico del museo un’occasione per frequentarlo spesso. Mi sembra che in città ci sia una nuova fame di cinema, noi proporremo un programma ricco non solo di proiezioni ma di incontri con i suoi protagonisti: registi ma anche attori, costumisti, scenografi. 

E per quanto riguarda la collezione storica della Sovrintendenza Capitolina, ospitata al Macro?
La collezione è prevalentemente novecentesca. Intendo integrarla con opere contemporanee provenienti da prestiti a lungo termine e, spero, anche da nuove acquisizioni, creando allestimenti tematici di stretta attualità. È importante che la collezione storica non sia un elemento separato, ma parte integrante del progetto del museo.

Roma è la più grande città d’arte del mondo. Ma è anche città d’arte contemporanea?
Roma ha una scena artistica vivace e sta rifiorendo anche grazie a iniziative indipendenti, dal basso. Il rapporto con la storia è un punto a suo favore e la sua posizione ai margini del sistema dell’arte globalizzato le conferisce una libertà creativa che altre città più centrali non hanno. È una città che ha una sua morbidezza e un’implicita disponibilità all’apertura. Infatti sta tornando ad attrarre artisti da tutto il mondo e molti romani, con importanti esperienze all’estero, stanno rientrando.

Lei insegna anche Management ed Economia delle arti e delle istituzioni culturali all’Università San Raffaele di Milano. Quali sono i principi che insegna e che quindi applicherà al Macro?
Credo in un modello di direzione che consideri l’istituzione in ogni aspetto del suo funzionamento:  la programmazione, naturalmente, ma anche l’accessibilità degli spazi e dei contenuti, il benessere di chi ci lavora, la comunicazione, la gestione della collezione, l’offerta di servizi. Il museo è un organismo e come tale deve essere curato nella sua totalità.  

C’è qualcosa che ha fatto al Pecci di Prato che non ripeterà a Roma?
Rifarei tutto, ma evitando un’eccessiva intransigenza, che in alcuni contesti può risultare controproducente. Ho imparato a mediare di più tra le parti, mantenendo fermezza senza chiusure eccessive. 

Essere una donna alla guida di un museo comporta ancora ostacoli o resistenze?
Sì, purtroppo, per alcuni aspetti. È difficile, ad esempio, che la famiglia ci segua se dobbiamo trasferirci. In genere, combinare lavoro e cura degli affetti può essere complicato.  

L’istituto museale sta vivendo una fase di trasformazione profonda: come vede il futuro dei musei?
I musei stanno diventando sempre più luoghi di comunità, capaci di stimolare attraverso le arti il pensiero critico e la consapevolezza civile. Devono essere spazi significativi per diversi pubblici, con un’attenzione particolare alle nuove generazioni.

In conclusione, che Macro sarà quello di Cristiana Perrella?
Un museo che ama gli artisti e si prende cura del pubblico, accogliente e audace. E che cerca di funzionare al meglio.

Cristiana Perrella. Photo: Daniele Molajoli

Guglielmo Gigliotti, 09 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

Cristiana Perrella: «Voglio un Macro sperimentale, aperto e radicato nel territorio» | Guglielmo Gigliotti

Cristiana Perrella: «Voglio un Macro sperimentale, aperto e radicato nel territorio» | Guglielmo Gigliotti