Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Redazione
Leggi i suoi articoliC’è un momento, nel cinema, in cui tutto è ancora silenzio. Prima della luce, prima del movimento, ci sono linee, frecce, annotazioni che provano a dare forma al pensiero. A Kind of Language: Storyboards and Other Renderings for Cinema, la mostra presentata da Prada con il supporto di Fondazione Prada a Prada Rong Zhai di Shanghai dal 4 novembre 2025 al 1 febbraio 2026, racconta esattamente questo: il film prima del film, la grammatica visiva che precede la narrazione. Dopo il debutto milanese all’Osservatorio Fondazione Prada, il progetto – curato da Melissa Harris – si espande in Asia approfondendo la ricerca sul cinema cinese e sui processi creativi che lo attraversano. In mostra oltre cinquecento oggetti tra storyboard, disegni, fotografie e taccuini, firmati da più di trenta autori che hanno costruito l’immaginario cinematografico del Novecento e del presente. Da Chaplin a Hitchcock, da Miyazaki a Nolan, da Scorsese a Jia Zhang-ke. Un atlante di segni che tiene insieme epoche, generi e tecniche, restituendo alla visione cinematografica la sua componente più artigianale e intima.
Harris parla di una «fase raramente accessibile al pubblico», quella in cui il film si forma come linguaggio autonomo, capace di sintetizzare parola, gesto e immagine. Ed è proprio questo linguaggio che la mostra isola e trasforma in esperienza, delineando un percorso che restituisce al visitatore l’impressione di attraversare le tavole di lavoro di chi il cinema lo inventa fotogramma per fotogramma. L’allestimento, ideato da Andrea Faraguna con lo studio Sub, reinterpreta il progetto milanese adattandolo all’architettura della residenza storica di Prada Rong Zhai. I tavoli espositivi, simili a scrivanie da disegno, diventano il fulcro del racconto. Ogni piano corrisponde a un film, una narrazione che si svela in sequenze. Camminando tra le sale, il pubblico si muove come dentro un montaggio, come fosse testimone del pensiero in costruzione.
Prada Rong Zhai, A Kind of Language
The Grand Budapest Hotel , directed by Wes Anderson, 2014 Animatic storyboard: storyboards images by Jay Clarke, animation editing by Edward Bursch with Wes Anderson, 2014 Courtesy of Wes Anderson, Copyright Searchlight Pictures
Dai disegni preparatori di Betty Boop e Biancaneve alla precisione calligrafica di Miyazaki, dagli schizzi espressionisti di Satyajit Ray ai bozzetti di Qiu Jiongjiong, la mostra attraversa un secolo di invenzioni. In questo mosaico di immagini ricorre una tensione comune: lo storyboard come dispositivo di pensiero, come primo atto di regia. Disegnare una scena, suggerisce l’esposizione, significa già cominciare a filmarla. Il percorso si arricchisce di una sezione dedicata al cinema asiatico contemporaneo. I materiali di Fei Xuehao per The Wandering Earth II di Frant Gwo, o quelli della regista Tan Chui Mui per Barbarian Invasion, mostrano come il linguaggio visivo dello storyboard si sia adattato alle tecnologie e ai nuovi ritmi della narrazione digitale. Accanto, le tavole di Yang Lina o i video preparatori di Jia Ling rivelano un approccio più intimo e performativo, dove il corpo dell’autore entra nella scena ancor prima della macchina da presa.
Non mancano le presenze occidentali. Gli storyboard di Scorsese per Toro scatenato, quelli di Nolan per Interstellar, le tavole di Wes Anderson e dei suoi collaboratori Jay Clarke ed Edward Bursch. In ognuno di questi frammenti c’è l’eco di una stessa ossessione, la necessità di vedere prima di filmare, di ridurre la complessità a un segno. Così la residenza di Rong Zhai diventa un set sospeso, dove l’occhio del visitatore si muove tra disegno e immaginazione, tra la freddezza del progetto e il calore della visione. In questo equilibrio sottile, A Kind of Language suggerisce che il cinema non nasce dalla luce ma dal pensiero che la precede, e che ogni film, prima di essere visto, è sempre stato disegnato.
Altri articoli dell'autore
L’esposizione segna il primo passo di un percorso congiunto che intende ridefinire il ruolo del museo torinese come luogo di confronto tra discipline
Nel contesto del CIAD 05, che trasforma il centro storico del Cairo in un museo diffuso con oltre 160 artisti da tutto il mondo, la mostra di Valentini rappresenta un gesto di connessione tra memoria europea e tradizione egizia
L’imprenditrice e collezionista guiderà per il prossimo triennio anche l’assemblea dei soci e il CdA. Un segno di continuità nel percorso di crescita, apertura e innovazione intrapreso in questi ultimi anni dal Museo d’Arte Contemporanea alle porte di Torino
Critico, curatore, gallerista, letterato, traduttore, autore di poemi visuali e libri oggetto, è scomparso a 95 anni a Boston



