«Gaza, Palestine, 2016» di Johanna-Maria Fritz (particolare)

Cortesia di Artco Gallery

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«Gaza, Palestine, 2016» di Johanna-Maria Fritz (particolare)

Cortesia di Artco Gallery

Il collezionismo fotografico e MIA Photo Fair

Roberto Spada, Clarice Pecori Giraldi, Andrea Fustinoni, Donata Pizzi e Massimo Prelz Oltramonti raccontano che cosa significano per loro le fotografie e quale sentimento anima la loro ricerca 

È difficile dire con precisione che cosa sia una collezione e quando una raccolta di opere possa essere definita tale; spesso sono proprio i collezionisti a non voler essere etichettati, tendendo a sminuire il loro ruolo nell’arte, riducendolo a una «semplice» passione personale. Ho imparato da un antiquario questa definizione che negli anni non ho mai smentito: un oggetto è un oggetto (sia esso un dipinto, una scultura o una fotografia), due sono una coppia, tre una collezione.

Oggi, quando sul mercato compare un’opera appartenuta a una raccolta importante, il suo valore aumenta, spesso notevolmente. Basti pensare alla collezione di Elton John (di fotografie, una delle più importanti al mondo) che, venduta in piccola parte alla fine di febbraio da Christie’s, ha più che raddoppiato il suo valore iniziale superando i 20 milioni di dollari tra oggetti, dipinti e fotografie. Il collezionista, con la sua scelta, aggiunge prestigio e valore all’opera imprimendo una sorta di garanzia personale a ciò che ha acquistato. Il suo occhio, la sua passione, la sua conoscenza, e a volte la sua notorietà, sono tutt’altro che valori intangibili, anzi diventano tangibilissimi nel momento in cui la sua collezione arriva sul mercato.

MIA Photo Fair, la fiera milanese della fotografia (dall’11 al 14 aprile), ci dà lo spunto per ragionare sul collezionismo in Italia con la mostra «La forma delle relazioni», curata da Rica Cerbarano. Più di 50 scatti, da alcune delle più stimate raccolte italiane, ci mostrano come il collezionismo di fotografia nel nostro Paese sia vivace e variegato, attento alle nuove esperienze del digitale, ma sempre interessato ai grandi maestri storici e alle ricerche del concettuale. Non importa che si tratti di fotografia di moda, di paesaggio o di ritratto, la convergenza deve sempre essere la qualità. Abbiamo chiesto ad alcuni dei prestatori della mostra una definizione del termine e quale sentimento anima la loro ricerca.

«Untitled (volto)» (2020) di Jacopo Benassi, collezione Roberto Spada

Per Roberto Spada, commercialista milanese, presente nel MIA con un’opera di Jacopo Benassi, collezionare fotografia significa raccogliere frammenti di realtà, «spesso interpretati e trasformati attraverso la visione degli artisti, in grado di offrire nuove prospettive, svelandomi dettagli e angolazioni della vita che probabilmente avrei trascurato. Quando guardo un’opera non posso fare a meno di pensare alla storia e all’emozione dietro all’immagine, alla sua forza narrativa ed espressiva».

Clarice Pecori Giraldi, art advisor che ha prestato un’opera di Dayanita Singh, acquista fotografie affascinata dalla loro immediatezza: «La mia reazione ed emozione sono spontanee». Gli artisti che ama utilizzano la fotografia, ma non si fanno usare dal medium, come i pittori non sono contraddistinti dal pigmento adoperato: «È semplicemente uno strumento per esprimere la carica che hanno dentro».

Andrea Fustinoni, managing director del Grand Hotel Miramare di Santa Margherita Ligure, che espone un’opera di Lisetta Carmi, ha scelto di collezionare fotografia «affascinato dal disorientamento tra semplice visione estetica, quindi superficiale, e significato intrinseco, nascosto e non sempre di facile accesso».

«Untitled (gambe)» (2020) di Jacopo Benassi, collezione Roberto Spada

Donata Pizzi, fotografa e collezionista che ha prestato un doppio ritratto di Bruna Esposito, è focalizzata su un ambito storico specifico della fotografia italiana, quello che va dal 1965 ad oggi. «Questo contiene già di per sé un’indicazione precisa: sostenere le artiste che con i loro lavori più originali e coraggiosi hanno contribuito alla maturazione della nostra società. È una sfida politica e per questa ragione lavoro costantemente perché la collezione sia pubblica e accessibile, uno strumento per la conoscenza e la militanza, ma anche il modo/mezzo per rendere singolarmente ognuna di noi più forte e consapevole».

Massimo Prelz Oltramonti, italiano di nascita e londinese di adozione, aggiunge alla mostra di Rica Cerbarano due immagini di Tracey Moffatt e sintetizza, «la “collezione” non esiste, collezionare è un verbo, non un sostantivo. Tanto più in fotografia, è l’aggregazione che dà valore all’artista più che l’opera iconica che rischia di non distinguersi dalla locandina della mostra. È l’immagine mai vista, per inquadratura o stampa, che spesso sorprende e dà il senso di quello che l’artista voleva dirci».

Dalle parole di tutti, si comprende come la fotografia porti con sé una vivacità intellettuale in cui chi la ama si ritrova. Che sia portatrice di concetti molto articolati e profondi, di un’estetica elegante e raffinata, o di una ricerca tecnica innovativa, sa parlare in modo diretto e toccante, senza ricorrere a substrati che si rivelano spesso orpelli superflui. Infine, elemento non trascurabile, i valori d’acquisto sono molto più contenuti, per esempio rispetto alla pittura. Questo la rende molto contemporanea, perché permette a tanti giovani di avvicinarsi all’acquisto, dimostrandosi un entry point al collezionismo.

Chiara Massimello, 09 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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