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Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliIl primo ottobre i Musei Reali di Torino hanno inaugurato una nuova stagione sotto la guida di Paola D’Agostino, storica dell’arte napoletana formatasi tra l’Università Federico II, il Courtauld Institute e il Metropolitan Museum di New York, che succede alla direzione di Enrica Pagella. Dopo aver diretto per quasi un decennio i Musei del Bargello, D’Agostino arriva a Torino con una visione chiara: rendere il complesso reale un luogo di conservazione e un laboratorio di ricerca e di dialogo internazionale, dove far convivere storia e contemporaneità convivano. «Attraversare i saloni del Palazzo Reale o passeggiare nei Giardini Reali, ha dichiarato, restituisce la misura della centralità di questi luoghi nella storia culturale del Paese».
Interamente dedicata al Seicento la stagione espositiva. La grande mostra d’autunno, visitabile dall’8 novembre al 14 aprile 2026, è «Orazio Gentileschi. Un pittore in viaggio», curata da Annamaria Bava e Gelsomina Spione, allestita nelle Sale Chiablese. Il percorso ricostruisce il cammino artistico e umano di uno dei protagonisti assoluti del Seicento europeo, maestro di grazia e realismo, pittore colto e cosmopolita, capace di dialogare con Caravaggio, Rubens, Van Dyck e le grandi corti del tempo. Il tema del viaggio guida l’esposizione: un itinerario che segue Orazio Gentileschi tra Roma, Genova, Parigi e Londra, sulle tracce di committenti e regnanti, da Carlo Emanuele I di Savoia a Maria de’ Medici, da Filippo IV di Spagna a Carlo I d’Inghilterra. Fulcro del percorso la grande «Annunciazione» del 1623, realizzata per il duca di Savoia, capolavoro riconosciuto dalla critica tra i vertici assoluti del maestro toscano. L’opera è al centro di un allestimento che unisce il nucleo di dipinti conservati nei Musei Reali a prestiti da collezioni internazionali, a testimonianza della politica di scambio e valorizzazione promossa dai Musei Reali. Dipinto della maturità di Orazio Gentileschi (1563-1639) l’«Annunciazione» è un punto di sintesi della sua poetica, sospesa tra naturalismo e ideale classico. L’artista, ormai lontano dalle tensioni drammatiche del primo Seicento romano, traduce il linguaggio caravaggesco in una dimensione di armonia e chiarezza formale, facendo della luce un elemento strutturale della composizione, veicolo del divino. La scena è costruita su un equilibrio rigoroso di piani e diagonali. La Vergine sul bordo del letto, il capo reclinato, la mano alzata sul petto. Di fronte a lei, l’angelo inginocchiato solleva un dito verso l’alto, collegando lo spazio terreno alla sfera celeste. Il grande drappo rosso che occupa la parte superiore del dipinto agisce come quinta teatrale: il suo movimento avvolgente concentra la luce e definisce la profondità dello spazio. L’illuminazione, proveniente dalla finestra, colpisce i volti, le mani e le stoffe. L’attenzione al dato realistico, evidente nel panneggio e nella resa dei materiali, si unisce a una tensione di ordine intellettuale e morale. Gentileschi non mira alla teatralità ma a una pittura meditativa, fondata su misura e controllo, in cui il miracolo si manifesta nella compostezza del quotidiano, con una pittura lenta, cesellata, quasi miniata.
Dal naturalismo meditativo di Orazio Gentileschi all’ideale classico di Guido Reni, i Musei Reali raccontano i primi decenni del Seicento, quando la pittura italiana cerca un equilibrio nuovo tra realtà e grazia, luce e misura. Nello Spazio Scoperte della Galleria Sabauda, fino al 18 gennaio, la mostra «Il “Divino” Guido Reni nelle collezioni sabaude e sugli altari del Piemonte», curata da Annamaria Bava e Sofia Villano, celebra la fortuna e l’eredità del pittore bolognese a 450 anni dalla nascita. Al centro del percorso, che lega la storia del collezionismo sabaudo all’evoluzione del linguaggio di Guido Reni e alla sua influenza, riunisce opere provenienti dalle collezioni dei Musei Reali, dal territorio piemontese e dal Musée des Augustins di Tolosa. Tra le tele più significative il «San Giovanni Battista», l’«Apollo che scortica Marsia», la «Morte di Lucrezia» e il «San Gerolamo», esempi di una pittura che trasforma la sofferenza in contemplazione, la bellezza in misura morale. Reni guarda il dolore con distacco e pietà, trasforma la tragedia in ascensione, come nell’«Assunzione della Vergine», pala proveniente da Abbadia Alpina, a Pinerolo, restaurata per l’occasione. Commissionata a Roma all’inizio del Seicento e inviata in Piemonte per volontà dell’abate Ruggero Tritonio, racconta la diffusione precoce del linguaggio di Reni nel territorio sabaudo ed una è sintesi dell’idea di pittura come ascesi.
Musei Reali, piazzetta Reale 1, To lun-mar/gio-dom, 9-19, tel. 011/5211106, museireali.beniculturali.it, «Il “Divino” Guido Reni nelle collezioni sabaude e sugli altari del Piemonte» fino al 18 gennaio; «Orazio Gentileschi. Un pittore in viaggio» dall’8 novembre al 14 aprile

Guido Reni, «San Giovanni Battista», 1635 ca. Courtesy of Musei Reali di Torino Galleria Sabauda