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La facciata del Cleveland Museum of Art con gli stendardi esposti dallo scorso marzo che recano le parole contenute nel testamento del mecenate Jeptha Wade, da cui il museo ebbe origine 105 anni fa: «A beneficio di tutti e per sempre»

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La facciata del Cleveland Museum of Art con gli stendardi esposti dallo scorso marzo che recano le parole contenute nel testamento del mecenate Jeptha Wade, da cui il museo ebbe origine 105 anni fa: «A beneficio di tutti e per sempre»

I valori dei musei, antitesi del pensiero di Trump

Le opinioni personali e l’agenda politica del presidente statunitense collidono con i valori fondamentali delle istituzioni culturali degli Usa: l’empatia e l’armonia sociale, il rispetto per la diversità e l’aspirazione all’inclusività in una comunità ampia e diversificata

Adrian Ellis

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La trasformazione del sistema di governo americano sostenuta dal 45mo presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel corso del suo primo anno di mandato ha cause ed effetti complessi e di lungo termine. Questi hanno generato uno tsunami di libri, articoli, opinioni, programmi televisivi, tavoli di discussione e, per molti di noi, riflessioni personali. La loro durata andrà ben oltre la fine dell’incarico di Trump, sia che questo avvenga per il verdetto delle urne, per lo zelo di un procuratore speciale o a causa della sua bizzarra dieta.

Qualunque siano le cause e gli effetti di lungo termine, la situazione attuale è che il suo programma, e il sistema di valori che sta plasmando, incoraggiante e allettante per la sua base elettorale, sono in netto contrasto con i valori che la maggior parte dei musei considerano fondamentali. Questa è un’esperienza inconsueta e sempre più sgradevole per un mondo museale le cui priorità e la cui retorica sono state congruenti con i valori prevalenti della società e ripetutamente ribadite, per quanto a volte con scarso vigore, dai nostri leader politici.

Oggi navighiamo in acque diverse da quelle in cui navigarono i leader culturali e i funzionari pubblici del Terzo Reich, ma non differenti nel genere. Non ci sono vite a rischio, ma potenzialmente lo sono i mezzi di sostentamento dei musei e, soprattutto, lo sono la legittimità e la sopravvivenza di alcune delle idee e dei valori fondamentali su cui si basano.

La missione di un museo è «true north» (espressione della buona pratica di governo): questo è il fine ultimo, non negoziabile, dell’istituzione che, una volta inserito in un breve comunicato e ratificato dal Consiglio, serve da ispirazione e guida per ciò che un museo fa e per come lo fa.

Oggi la dichiarazione di missione della maggior parte dei musei americani, così come di altri musei di tutto il mondo, esprime l’ambizione di essere aperti a tutti e di garantire che i programmi e le collezioni siano  accessibili a una comunità per quanto possibile ampia e diversificata.

A titolo di esempio: il Dallas Museum of Art mette l’arte e le diverse comunità nel centro da cui irradiano tutte le attività; il San Francisco Museum of Modern Art-SFMoMA mira a rendere l’arte del nostro tempo una parte vitale e significativa della vita pubblica; il Queens Museum, a New York, ha il fine di presentare arti visive della più alta qualità e programmi educativi per gli abitanti dell’area metropolitana newyorkese e, in particolare, per i residenti del Queens, una comunità internazionale unica per diversità etniche e culturali; il Cleveland Museum of Art crea esperienze di trasformazione attraverso l’arte «a beneficio di tutti e per sempre» e offre attività dinamiche che evidenziano la potenza e la rilevanza duratura dell’arte nell’odierna società globale.

Anche nel caso dei pochi musei americani che non hanno inserito nelle motivazioni costitutive l’aspirazione all’inclusività sociale, essa rientra comunque in un insieme di valori che i loro direttori sottoscrivono. Tra questi, insieme all’obiettivo dell’inclusione sociale, un impegno per la ricerca basata sui fatti e le regole della logica, e l’applicazione in buona fede di fatti e logica al fine della crescita della conoscenza e della comprensione umane. I musei vi aspirano tanto nel contesto della loro specifica ricerca primaria, quanto nei loro più ampi ruoli educativi. I valori fondamentali ai quali aderiscono comprendono l’affermazione dell’importanza dell’empatia nel sostenere l’armonia sociale in società civili pluraliste e la capacità dei programmi e degli strumenti dei musei di generare rispetto per la diversità, qualità fondamentale dell’umanità e della società civile.

I professionisti dei musei tendono a considerare fondamentali questi valori e queste convinzioni, soprattutto quando ritengono che possano generare nuove fonti di finanziamento. In effetti, questi valori (i musei come spazi inclusivi, risorse per l’apprendimento e generatori di empatia) sono sempre più spesso le motivazioni base per il sostegno filantropico e pubblico, assieme al contributo dei musei all’impatto economico e allo stimolo della creatività.

È quindi interessante vedere come questi valori si comportino in un contesto meno amichevole come l’America di Trump. Meno amichevole perché quei valori sono in contrasto col pensiero personale e con le azioni del presidente, così come con quelli della sua maggiore base elettorale. Per come lo conosciamo dalle sue azioni, dai suoi discorsi e dai suoi tweet, Trump pare non curarsi di questi valori largamente liberali e democratici; e il suo programma politico e il suo modus operandi sembrano diretti verso l’erosione del ruolo di questi stessi valori nell’improntare parole e azioni. È patologicamente combattivo, venale, vendicativo, disonesto, razzista, sessista, bigotto ed entusiasticamente e manipolativamente divisivo.

Le politiche che ha promosso acutizzano la maggior parte dei problemi più urgenti del nostro tempo, dai cambiamenti climatici, alle questioni razziali, alle devastanti disuguaglianze sociali. E le soluzioni che propone sono tragicamente svincolate da fatti e logica. Quelle politiche che non hanno impatti negativi o potenzialmente corrosivi su economia, società o ambiente sembrano essere in lista d’attesa o prive di sostegno finanziario. E, benché l’impatto più forte della sua politica sia avvertito dal popolo americano, le sue ripercussioni sono chiaramente globali (non ultimo, l’aver portato il mondo sull’orlo di una guerra nucleare).

Che cosa comporta dunque tutto ciò per la comunità museale, i cui valori e principi istituzionali non sono più neanche lontanamente condivisi negli alti ranghi dell’amministrazione? Per alcuni i traumi che Trump sta infliggendo sono così grandi da rendere marginali i musei e di secondaria importanza l’opera che essi svolgono. In effetti essi stanno optando per quello che in Unione Sovietica era noto come «esilio interno», cioè un ritiro dalla sfera pubblica. Il che è al contempo melodrammatico e rassegnato. E anche sbagliato. Per quanto il programma politico e le azioni di Trump siano fondamentalmente negativi, i valori dei musei possono, e devono, offrire una qualche forma di aperta opposizione.

Noi della comunità artistica abbiamo la responsabilità di esprimere in modo inequivocabile i fondamenti morali e intellettuali dell’attività dei musei e di dare priorità ad attività che rendano manifesti e rafforzino questi fondamenti. Questo prevede che si faccia quadrato attorno alle responsabilità fondamentali dei musei: assicurare che siano importanti e significativi per le comunità all’interno delle quali sono collocati, senza compromessi o cedimenti; che contribuiscano alla crescita e alla diffusione della conoscenza umana; che rispettino la supremazia dei fatti e della logica; e che celebrino e promuovano il rispetto per la varietà della cultura umana e per la sua fragile casa sulla Terra.

Adrian Ellis
Direttore dell’Aea Consulting e del Global Cultural District Network

La facciata del Cleveland Museum of Art con gli stendardi esposti dallo scorso marzo che recano le parole contenute nel testamento del mecenate Jeptha Wade, da cui il museo ebbe origine 105 anni fa: «A beneficio di tutti e per sempre»

Adrian Ellis, 12 gennaio 2018 | © Riproduzione riservata

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