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Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliDopo un terremoto i tecnici sanno bene che occorre recuperare le macerie, selezionare, schedare e conservare coppi, mattoni, ceramiche, pietre, frammenti di parete dove c’era un affresco, anche quando abbiano un valore per la storia locale, non solo quando fanno parte del patrimonio artistico. Le direttive del Ministero dei Beni e Attività Culturali dopo un sisma sono puntuali e suddividono le macerie in tre categorie: la A riguarda gli edifici sottoposti a vincolo; la B riguarda l’edilizia storica, quindi di possibile interesse storico e architettonico; la C investe gli edifici comuni.
Nel settembre 2018 un’ispezione ha ravvisato che in due depositi temporanei nel piceno molte macerie del terremoto 2016 provenienti da Arquata del Tronto non erano catalogate, risultavano in quantità inferiore a quelle rimosse e mancava personale qualificato che le gestisse. Per la categoria A non sono stati ravvisati problemi, ma c’è timore che macerie della categoria B siano state mescolate a rifiuti edilizi normali.
La Regione-Protezione Civile Marche, d’intesa con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, nell’ottobre scorso ha revocato a un’impresa la gestione e il recupero di macerie di tipo A e B. Quella revoca sollevava un sospetto tuttora non fugato: per esempio dalla frazione di Capodacqua, presso Arquata, portali, pietre d’angolo, iscrizioni, provenienti da case non vincolate ma che erano tasselli dell’antico centro storico sono andati persi tra i rifiuti normali?

Uno dei due depositi di «macerie artistiche» provenienti da Arquata del Tronto (Ap)
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