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Un modello di costruzione realizzato da Peter Zumthor nel 2014. © Atelier Peter Zumthor & Partner

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Un modello di costruzione realizzato da Peter Zumthor nel 2014. © Atelier Peter Zumthor & Partner

I fantasmagorici tramonti di L.A.

Le supervetrate di Zumthor e le opere nei depositi

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Flaminio Gualdoni

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Dunque la cosa notevole, quella che colpisce la mia fantasia, è che pare che Michael Govan, direttore del Lacma di Los Angeles, ce l’abbia fatta a mettere insieme i 650 milioni di dollari che servono per edificare la nuova sede del museo. Un cifrone, che per noi italiani ormai assuefatti ad annunci iperbolici accompagnati da budget ridicoli non pare neanche vero: stiamo parlando di un museo, infine, mica di una cosa seria come una squadra di Champions League. Dunque, con quei soldi lì stanno per fare una cosa meravigliosa, pensi. E poi, hanno incaricato del progetto Peter Zumthor, uno che ha vinto il Pritzker nel 2007 e il Praemium Imperiale nel 2008, quindi uno dei mejo fichi del bigonzo dell’architettura contemporanea: una garanzia.

Zumthor lavora lavora, ma evidentemente lui se ne sta asserragliato nel suo paesino dei Grigioni e i boss americani non perdono troppo tempo a farci riunioni per spiegargli che idea di museo hanno. A occhio, si aspettano che sia lui a dirglielo. E lui segue una «certa idea che gli viene nella mente», se lo vogliamo dire fino: in altri termini, fa quel che gli pare; svolge, come si diceva a scuola, un tema libero. E inventa un mammozzo curvilineo lungo più di duecento metri che visto in pianta sembra un Arp, tutto circondato da vetrate trionfali con vista sul panorama californiano, un sacco di pavimenti (ho letto da qualche parte che si parla di 37mila metri quadrati: per dire, quel po’ po’ di Musei Vaticani ne hanno 42mila, ma hanno anche 70mila opere, anche se a vetrate, diciamolo, sono un po’ scarsini), e, naturalmente, pochi muri.

Ohibò, nella classifica delle priorità il fatto che nei musei si maneggino delle robe da appendere alle pareti è stato evidentemente considerato un fatto accessorio e facoltativo, che poteva disturbare la passeggiata con vista sull’orizzonte: in compenso le pareti sono altissime, così che le rare opere che vi troveranno posto sembreranno francobolli appiccicati su un album di poche pagine, ma gigantesco. Un po’ quello che lo Zumthor aveva già fatto alla Kunsthaus di Bregenz, un edificio invece perfettamente chiuso su se stesso, ma sviluppando tutto l’ambaradan in orizzontale, tanto tanto pavimento e tanto tanto cemento a vista. Sono andato a rileggermi il vecchio «Domus» di allora, 1997, e c’era scritto: «L’architettura estremamente pretenziosa di questo edificio sfida le opere d’arte che si avvicendano al suo interno». Appunto.

Quando ti poni la questione di come verranno messe le collezioni permanenti a Los Angeles, scopri che saranno stivate dei depositi (che immagino lussuosi, peraltro) ed esposte solo come nervature di mostre temporanee. Dunque t’immagini, più che un museo-museo che svolga onoratamente e con qualità il proprio mestiere, il posto dove cazzeggiare in relax, sederti a meditare sulle sorti del mondo o sul perché la morosa ti ha mollato o come mai i Los Angeles Lakers non vincono più una cippa, dare un’occhiata a quegli strani decori in forma di quadri appesi qua e là, e, se ti metti dal lato giusto, goderti un fantasmagorico tramonto californiano.

Un altro modo di occupare il tempo libero, più che altro: che poi passi davanti a dei Guido Reni o dei Buddha bronzei, è un di più accidentale. Magari aveva ragione Woody Allen, il maggior contributo di Los Angeles alla civiltà moderna è il permesso di svolta a sinistra, e sull’arte non stanno lì a perder tempo. Da contadino rozzo, continuo a restare convinto che all’architetto che ti progetta la villetta lo dici tu come vuoi vivere, e se ti inventa un posto dove sono previste solo cene per gli ospiti e non puoi fare come ti pare lo mandi immantinente al diavolo. Ma questo è un museo, e pare che nessuno più sappia bene perché esista e a cosa diavolo serva. Dunque evviva Zumthor e le sue supervetrate. Per le opere d’arte, si prega di ripassare.

Un modello di costruzione realizzato da Peter Zumthor nel 2014. © Atelier Peter Zumthor & Partner

Flaminio Gualdoni, 21 giugno 2019 | © Riproduzione riservata

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