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Il murale «Tuttomondo» di Keith Haring sulla Chiesa di Sant’Antonio a Pisa

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Il murale «Tuttomondo» di Keith Haring sulla Chiesa di Sant’Antonio a Pisa

I «diritti a metà» della Street art

Anche se non autorizzata l’opera di un writer andrebbe protetta; ma quali diritti hanno i proprietari dei muri?

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Elena Correggia

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Nata come manifestazione antisistema nelle periferie urbane, espressione di contestazione «creativa» a suon di bombolette spray sui muri, oggi la Street art ha conquistato una crescente considerazione come linguaggio artistico, apprezzata da collezionisti di tutto il mondo e persino da istituzioni e musei. Un’arte tuttavia che utilizzando come supporto, talvolta anche in modo non autorizzato, muri o altri beni altrui, fa nascere un conflitto fra l’autore dell’opera, lo street artist e il proprietario del supporto.

«La Street art gode certamente della protezione del Diritto d’autore, secondo quanto dispone l’articolo 1 della legge 633/41 e questo vale anche per le opere frutto di atto illecito, poiché la liceità non è tra i requisiti di protezione dell’opera secondo il testo della norma», spiega Giuseppe Iannaccone, avvocato e collezionista d’arte.

La legge attribuisce quindi il riconoscimento allo street artist della paternità dell’opera, ma anche il diritto di veder tutelata l’integrità della stessa, e ciò comprende il diritto di opporsi al suo distacco o alla sua modifica o, ancora, il diritto di ritirarla dal commercio, cosa che nella Street art spesso coincide con il diritto di distruggerla. Bisogna però ammettere che i tribunali italiani, nella maggior parte dei casi, hanno altra opinione e lo street artist viene accusato, e spesso condannato, per reato di danneggiamento o di deturpamento.

«Il problema è che il legislatore non ha mai chiarito quale sia il carattere “artistico” dell’opera che possa escludere il reato», aggiunge l’avvocato. È altrettanto vero che la giurisprudenza non si è dimostrata sempre insensibile al tema. Basti citare il caso dell’artista Manu Invisible, assolto dal Tribunale di Milano perché il fatto non costituiva reato, poiché la facciata su cui l’artista aveva effettuato il proprio intervento risultava già precedentemente imbrattata e deturpata.

I giudici, rilevando l’intenzione dell’autore di abbellire la parete, hanno considerato l’opera come artistica, anche in ragione delle doti di Manu Invisible, che era risultato vincitore di un progetto dello stesso Comune di Milano per la riqualificazione del quartiere. Esistono poi i diritti patrimoniali connessi all’opera. «Su questo punto, la tesi maggiormente condivisibile, a mio parere, è quella secondo cui la realizzazione dell’opera in luogo pubblico determina in via automatica una sorta di concessione di licenza non esclusiva sull’opera ai fini della divulgazione ma, al contempo, lascia inalterati i diritti patrimoniali sull’opera da parte dell’autore», aggiunge Iannaccone.

Quanto al potenziale conflitto fra diritto dell’artista e diritto del proprietario del supporto, stabilire quale dei due diritti prevalga è questione assai difficile da risolvere poiché la normativa italiana non offre una soluzione univoca e specifica, come avviene, invece, negli Stati Uniti con il Visual Artists Rights Act del 1990.

In particolare, riguardo alla possibilità che il proprietario del supporto distrugga l’opera senza il consenso dell’autore, una parte della dottrina italiana ritiene che ciò sia legittimo, in quanto la Street art è per sua natura effimera e, quindi, esclude che la distruzione possa arrecare lesione dell’onore o della reputazione dell’autore (diritti che trovano tutela specifica nell’articolo 20 della legge sul Diritto d’autore).

Altri autori sostengono invece, in maniera opposta, che la distruzione dell’opera meriterebbe, in capo all’autore, una tutela almeno similare a quella accordata in caso di deformazione, mutilazione o altra modificazione, ovvero nella casistica menzionata proprio nel già citato articolo 20. Una strada alternativa che è stata seguita in Italia, anche se poco dirimente, è stata quella di allestire «muri autorizzati», ovvero spazi dove gli street writer possono esprimere legittimamente il loro estro creativo così da non «forzare» l’accettazione, da parte dei proprietari dei muri, di forme d’arte che non necessariamente corrispondono ai loro gusti artistici. Il discorso è diverso, però, se l’opera in questione cade sotto l’egida del Codice dei Beni culturali.

«Penso ad esempio al murale “Tuttomondo” di Keith Haring, realizzato a Pisa sulla parete esterna della canonica della Chiesa di Sant’Antonio Abate, precisa Iannaccone. Tale opera, in base alla previsione dell’articolo 20 del Codice dei Beni culturali, non può essere distrutta, deteriorata, danneggiata o adibita a usi non compatibili con il carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione e, peraltro, la sua rimozione o demolizione deve essere in ogni caso autorizzata».

Il murale «Tuttomondo» di Keith Haring sulla Chiesa di Sant’Antonio a Pisa

Elena Correggia, 29 agosto 2022 | © Riproduzione riservata

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