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Nelle immagini dell'artista milanese (che sarà uno dei protagonisti della prossima Quadriennale) non c’è volontà narrativa in senso stretto, nessun pretesto illustrativo
- David Landau
- 14 agosto 2025
- 00’minuti di lettura


Emilio Gola, Viola, 2025
Gli amici di Emilio Gola si abbandonano al suo carboncino
Nelle immagini dell'artista milanese (che sarà uno dei protagonisti della prossima Quadriennale) non c’è volontà narrativa in senso stretto, nessun pretesto illustrativo
- David Landau
- 14 agosto 2025
- 00’minuti di lettura
David Landau
Leggi i suoi articoliNelle immagini di Emilio Gola (Milano, 1994) non c’è volontà narrativa in senso stretto, nessun pretesto illustrativo. Lo dimostra la mostra che fino al prossimo 30 agosto costella le sale di Monica De Cardenas a Zuoz. La sua è una pratica di restituzione del reale, certo, ma di un reale filtrato da una distanza affettiva, osservata con pudore. I soggetti che lo abitano sembrano entrare nell’immagine non per essere semplicemente rappresentati, ma per essere accolti. I corpi si offrono a uno sguardo che li accompagna: sono figure colte in uno stato di abbandono, in un’intermittenza tra intimità ed esposizione, come se si fossero appena assopite in uno spazio che consente di essere sé stessi, senza dover dimostrare nulla. Le pose, spesso frutto di sessioni di disegno dal vero, non inseguono l’effetto o la composizione bilanciata. Un braccio piegato in modo innaturale, un’angolazione sbilenca della testa, un peso corporeo che scivola fuori asse, sono dettagli minimi che, nel linguaggio visivo di Gola, diventano strutture portanti. I corpi non stanno, ma si appoggiano, si cercano, si reggono a vicenda. La relazione, prima fisica, poi visiva, precede ogni costruzione formale. È il corpo, più che la scena, a generare lo spazio. Nella pittura di Gola, queste relazioni spesso si fanno corali, come una trama di affetti disordinata e viva. Nei nuovi disegni presentati alla Galleria Monica De Cardenas di Zuoz, al contrario, emerge un gesto diverso: sono ritratti per lo più singoli. Ogni figura è lasciata sola. Il tempo condiviso lascia spazio a un tempo uno-a-uno, più esposto, forse più fragile. “Dear friend, what’s the time?, come il titolo della mostra.