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Gaudí dalla prima all’ultima casa

Casa Botines musealizzata apre in giugno mentre la prima casa dell’architetto modernista, Casa Vicens, sarà visitabile dall’autunno

Roberta Bosco

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In giugno, dopo 125 anni di storia privata, Casa Botines apre al pubblico trasformata in museo dalla Fundación España-Duero. Un Gaudí di bronzo, seduto su una panchina davanti alla facciata principale, dà il benvenuto alla casa che gli commissionarono Simón Fernández e Mariano Andrés, commercianti di tela in affari con il suo mecenate Eusebi Güell. L’edificio, che con i suoi quattro piani all’epoca era praticamente un grattacielo, introdusse la modernità nella cittadina di León. Ora è passato da casa familiare e negozio di tele a museo. Il piano interrato è dedicato a esporre la raccolta della fondazione attraverso un programma di mostre temporali iniziato con la prima edizione della serie completa dei «Capricci» di Francisco Goya. Al piano nobile sono stati ricreati nei minimi dettagli il negozio di stoffe di Fernández e Andrés così com’era nel 1893 e un’agenzia bancaria del 1929, accompagnata dalla storia della banca spagnola raccontata con fotografie, documenti e oggetti. Gli altri piani accolgono una replica delle abitazioni dei due commercianti con mobili e suppellettili originali, una mostra di disegni, bozzetti, modelli e documenti autografi di Gaudí e una pinacoteca con opere di artisti contemporanei dell’architetto, tra cui Ramón Casas, Raimundo de Madrazo, Joaquín Sorolla, Ignacio Pinazo, Nicanor Piñole e Joaquín Mir. Anche queste appartengono alla Fundación España-Duero, la cui raccolta conta 8mila opere frutto di oltre due secoli di collezionismo. Presto si potrà visitare anche la torre dell’edificio esattamente come Gaudí la concepì nel 1893.

Nella Casa Vicens, le radici di Gaudí
Antoni Gaudí si laureò in architettura nel 1878 e la Casa Vicens di Barcellona, che consegnò nel 1885, fu il suo primo incarico importante. Si trattava della casa di villeggiatura dell’agente di borsa Manuel Vicens nel quartiere di Gràcia, allora aperta campagna, oggi una selva di alte costruzioni. Casa Vicens è uno degli otto edifici di Barcellona dichiarati Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco ed è l’ultimo che aprirà al pubblico il prossimo autunno dopo 130 anni di uso come residenza privata e due di restauri costati quattro milioni di euro finanziati da MoraBanc. La banca di Andorra l’ha comprata nel 2014 dalla famiglia Herrero-Jover, che a sua volta aveva rilevato lo stabile nel 1899 dalla vedova Vicens. L’importo finale dell’operazione, seppure non trapelato, sarà sicuramente inferiore ai 35 milioni di euro richiesti quando fu posta in vendita nel 2007.

Gli architetti incaricati del restauro, José Antonio Martínez Lapeña, David García e Elies Torres, stanno riportando l’edificio di quattro piani al suo stato originale eliminando gli ampliamenti del 1935 e del 1946 e recuperando la terrazza e la scala centrale soppressa nel 1925. In quell’occasione l’edificio fu trasformato da residenza estiva unifamiliare a domicilio abituale plurifamiliare dall’architetto Joan Baptista Serra de Martínez, discepolo di un anziano Gaudí che diede il suo consenso al progetto. In origine la casa aveva una cascata, un belvedere, una cappella dedicata a Santa Rita, una sorgente di acque considerate curative e uno splendido giardino che fu poi venduto a lotti. «È una vergogna che il Comune non abbia protetto la Casa Vicens», denunciano gli architetti che si rammaricano che i visitatori non potranno accedere alla terrazza sul tetto: «Le ringhiere sono troppo basse e alzarle avrebbe snaturato l’architettura», spiegano.

La Casa Vicens si caratterizza per un colorato insieme di stile moresco con forme d’ispirazione indiana e giapponese e interni decorati con una profusione di uccelli, piante, frutti di bosco, uva e ciliegie. Secondo Joan Abellà, che per dirigere la casa museo ha lasciato la direzione amministrativa del Museo de Arte Contemporáneo de Barcellona (Macba), «la visita sarà un esempio di turismo sostenibile». «Permetteremo l’accesso solo a 25 persone ogni mezz’ora, per non superare un totale di 500 visitatori al giorno, cioè 150mila all’anno, una cifra molto lontana dai numeri che affollano altri edifici di Gaudí» spiega Abellà. La visita si completerà con una mostra permanente, curata da Marta Antuñano, sulla storia della casa, il contesto sociale, storico e artistico in cui venne realizzata e la sua importanza nell’ambito della produzione gaudiniana. In mancanza di fotografie degli arredi originali, gli interni non saranno ammobiliati. Dopo l’apertura di Casa Vicens, saranno visitabili tutte le opere di Gaudí tranne il Colegio de las Teresianas e la Casa Calvet.

La Sagrada nell’occhio del ciclone
Intanto la Sagrada Familia è di nuovo al centro di polemiche. Le dure critiche mosse da Dani Mòdol, assessore ad Architettura, Paesaggio urbano e Patrimonio del Comune di Barcellona (cfr. n. 369, nov. ’16, p. 1 e 6) e le minacciate denunce di abuso edilizio e costruzione illegale non hanno spaventato il Patronato del tempio, convinto più che mai di terminare l’opera in dieci anni innalzando in poco più di quattro anni le sei torri che cambieranno lo skyline di Barcellona: le quattro degli Evangelisti di 135 metri ciascuna, quella della Madonna di 140 metri e quella di Gesù che con 172,5 metri farà della Sagrada l’edificio più alto della città superato solo dalla collina di Montjuïc alta 173 metri. Gli architetti della Sagrada Familia non solo si rifiutano di fare autocritica, ma rivendicano il loro intervento che considerano degno dello spirito e dei progetti che Gaudí lasciò incompiuti quando fu travolto da un tram nel 1926. L’architetto capo Jordi Faulí, che assomiglia sempre di più a Gaudí anche fisicamente, si è affidato alla tecnologia per spiegare i procedimenti che gli hanno permesso di ricostruire i disegni e i modelli distrutti durante la Guerra Civile e di utilizzarli per continuare l’opera secondo la volontà dell’architetto modernista. Faulí ha anche difeso a spada tratta la costruzione della Facciata della Gloria, la più grande e monumentale di tutte, che obbligherà a interrompere il transito su calle Mallorca e soprattutto a demolire un intero isolato densamente popolato, un intervento traumatico che implica rialloggiare centinaia di persone. 

«Il progetto culminerà con una proiezione di fasci di luce dai pinnacoli delle torri che evocheranno i raggi di Cristo» ha spiegato Faulí, evitando di pronunciarsi sul permesso di costruzione che secondo il Comune di Barcellona la Sagrada Familia non ha mai avuto in 134 anni. La sindaca Ada Colau, decisa a far rispettare la legge, ha assicurato che dall’anno in corso la basilica pagherà una regolare licenza, purtroppo molto difficile da contabilizzare. Per questo il Comune e il Patronato della Sagrada Familia hanno creato una commissione tecnica che s’incaricherà di risolvere il complicato contenzioso. A Barcellona le costruzioni pagano una tassa percentuale sul costo (ma la Chiesa è esente) e una licenza in funzione della loro dimensione e della superficie calpestabile (ma come si calcola nel caso di sei torri che occupano un intero isolato e sono vuote al loro interno?). Il Comune spera di aver trovato la risposta in tempo per riscuotere l’onere di quest’anno, mentre le famiglie che potrebbero essere espropriate hanno già presentato una denuncia contro la Sagrada Familia «in quanto viola la legalità urbanistica prevista dal Piano Generale Metropolitano con le colonne della Facciata della Gloria che invadono lo spazio pubblico ben oltre i 15 centimetri concessi». Il loro portavoce Juan Ichaso ha denunciato la completa impunità di cui gode il tempio e ha ricordato che il Comune, nonostante sia informato da quasi dieci anni del mancato rispetto delle norme urbanistiche sull’allineamento degli edifici, non ha mai preso nessun provvedimento. «La Sagrada Familia ha fatto collassare il quartiere, provocato un aumento degli affitti e sostituito i negozi di quartiere con negozi di souvenir» ha affermato Ichaso. La Sagrada Familia è il monumento più visitato della Spagna e nel 2016 ha registrato 3,7 milioni di turisti, ai quali si devono sommare quelli che la fotografano dalla strada senza entrare. Poiché i biglietti sono la fonte principale per finanziare i lavori, il Patronato si rifiuta di stabilire un numero chiuso come succede per esempio con l’Alhambra di Granada. «Calcolando una media di 18 euro per persona, l’anno scorso hanno ricavato 66 milioni solo di biglietti. Noi chiediamo che il Comune stabilisca una tassa di un euro per visitatore da investire in servizi per ovviare al logorio che l’invasione continua di milioni di turisti genera», ha concluso il portavoce degli abitanti del quartiere.

Roberta Bosco, 04 giugno 2017 | © Riproduzione riservata

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