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Franco Signoretti a Palazzo Perticari Signoretti di Pesaro

Photo: Michele Alberto Sereni

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Franco Signoretti a Palazzo Perticari Signoretti di Pesaro

Photo: Michele Alberto Sereni

Franco Signoretti: «Inseguire il bello è una terapia»

Da imprenditore a collezionista per caso, trasforma la sua passione in un progetto aperto a tutti: Palazzo Perticari a Pesaro, uno spazio dove bellezza e conoscenza si incontrano

Antonio Pepe

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«La fame vien mangiando», si dice, e sembra valere anche per il collezionismo. Un esempio calzante è l’esperienza di Franco Signoretti, collezionista nel cuore di Pesaro e con Pesaro nel cuore o, meglio, nello stomaco. «Sono un imprenditore, ho aperto la prima partita Iva a 18 anni, poi piano piano ho messo in piedi una piccola azienda e un piccolo ufficio, ma lavorandoci sentivo la necessità di abbellirlo con un quadretto. Perciò ho iniziato a girare tra gallerie e mostre. Una volta fatta la mia scelta, ovviamente banale, l’ho appeso alla parete e contemplato con piena soddisfazione. Ero ancora inconsapevole di aver innescato un meccanismo spaventoso». Lo dice con il senno di poi, seduto in una sala della sua biblioteca d’arte in Palazzo Perticari Signoretti, luogo messo a disposizione degli studiosi (mentre scrivo siamo a quota 50mila volumi). 

Ma facciamo un passo indietro. «Ho cominciato così ad andare in giro per antiquari, mercati, mercatini, a guardare le aste, le mostre, i musei. Un mondo estremamente bello, soprattutto perché dalle tensioni che si accumulavano durante la settimana, facendo un lavoro che ha delle dinamiche molto forti, aride se vogliamo, questa ricerca mi riequilibrava. Trovavo un forte benessere anche psicofisico». L’assaggio di bellezza ha scatenato la fame del collezionista, ma la prima seduta al banchetto del gusto è sempre a digiuno, non priva di imbarazzi.

«Ti trovi in un ambiente un po’ sconosciuto dove non sai nulla. Nulla vuol dire proprio nulla: zero! Senza punti di riferimento piano piano cominci a cogliere la vastità del mondo dell’arte. Tutto non si può comprare, allora predispongo il mio interesse verso il territorio in cui vivo. Poi la curiosità dalla provincia si estende alla regione, alle regioni limitrofe, a comprendere le diverse scuole e gli stili. Tuttora la mia strada è quella di collezionare opere d’arte di eccellenze locali, concedendomi degli strappi alla regola quando trovo delle cose di particolare bellezza. Ho cominciato acquistando quadri del Seicento, del Settecento, poi a guardare le tavole. Sono arrivato anche a collezionare il Novecento del nostro territorio, artisti nati o passati da qui, e l’Ottocento italiano».

Insomma, una vorace degustazione di tutte le portate sul menù. L’obiettivo? Soddisfare il palato, anche a costo di buttare giù qualche boccone amaro. «Ho acquistato cose che sono inguardabili», ma sono dei rischi calcolati per godere dei benefici di un’oasi ormai sconosciuta ai più, «un mondo con diversi ritmi, fatto anche di silenzi, di visioni». In parte siamo di fronte a un’eccezione, perché il tipo umano del collezionista tipicamente si alimenta placando un appetito monomaniacale, un feticismo ammorbante. Ad esempio, non è interessato a dipinti o miniature tout court, ma alla pittura lombarda su tavole a fondo oro del 1450-99 o alle miniature monocromatiche con silhouette della borghesia anglo-francese. Per capirci, sono iperboli fittizie molto vicine a casi reali. Franco Signoretti è invece tormentato dalla fame genuina della conoscenza, che ha saziato con prodotti di filiera nostrana, made in Italy, marchigiana addirittura. 

«Più avanti ho sentito la necessità di acquistare dei libri che nella mia incompetenza mi potessero aiutare a capire un pochino meglio, ma ancora non ho capito niente [ridiamo]. Forse più che comprendere qualcosa devi assecondare la capacità innata di seguire una cosa bella, quello che ti attrae. È tutto molto soggettivo, si potrebbe dire, ma nemmeno tanto; perché la qualità, se c’è, c’è e basta, non è che la devi scoprire. Esiste una piacevolezza al di là del nome».

Ed è a questo punto che per l’esperienza accumulata Franco Signoretti ha deciso di trasformarsi, partendo da convitato, nell’ospite di un grande simposio culturale aperto al pubblico. «Con tutte le opere in giro ho cominciato a pensare che sarebbe stato bello poterle condividere con qualcuno, e vedere se quello che era bello per me poteva essere bello anche per gli altri. Da lì è nata l’idea di Palazzo Perticari, questo “contenitore” messo a nuovo (un museo a tutti gli effetti) che mi riempie d’orgoglio. Credo meriti di vivere in condivisione con gli altri. Alla fine, queste opere d’arte a chi appartengono? Di chi sono? Mie? Non proprio. Io agisco da custode temporaneo, poi dopo la mia morte l’opera vivrà ancora. Mi devo accontentare del fatto di averla condotta, curata, condivisa, sperando che ci sia qualcun altro altrettanto appassionato da prendere il testimone».  

È la benedizione dell’arte: «I beni materiali hanno una loro durata: la vacanza si consuma, la casa è una casa uguale a tutte le altre, sono quasi tutte anonime se non poche eccezioni, e invece l’opera è unica. Non è così?». Quindi è un investimento a lungo termine? Neanche per sogno. «L’acquisto di un’opera d’arte non è mai un investimento. Certo che spendi dei denari ma un collezionista non acquista mai per rivendere, è un desiderio di possedere un’opera che capisci avere una sua inerenza con il tuo percorso. Ognuno di questi oggetti rappresenta un momento, un viaggio e nuove conoscenze. Però non è certo uno scherzo. C’è dietro un pensiero, c’è il dubbio che ti tormenta durante la notte, lo compro o non lo compro? Esiste ovviamente l’aspetto economico. Delle volte ti innamori ma sono imprese impegnative, lì scatta la sofferenza».

In che occasione ha provato la sofferenza maggiore? «Tutte le volte che non ho comprato quello che mi piaceva. Quando “ti prende” la devi acquistare, perché la sofferenza del momento la dimentichi nel giro di mezz’ora, mentre l’opera rimane per tutta la vita. Se non la compri resta un desiderio incompiuto».  Si coglie al volo la volontà di rompere l’idea dei «piccoli salotti», offrendo a tutti l’esperienza dell’haute cuisine artistica di Palazzo Perticari Signoretti. 

«Maddalena (Maddalena Paolini è il genius loci della biblioteca, Ndr), che è bravissima, cura le visite guidate, e vedo grazie a lei che anche le persone più lontane da questo mondo sono affascinate. Altrimenti quelli come me che non hanno avuto la fortuna di studiare questi argomenti fanno fatica da soli, in autonomia, ad avvicinarsi. Vuol dire che c’è voglia di capire qualcosa ma la gente è spaventata dai grandi monumenti. Ecco perché credo sia necessario creare degli ambienti semplici ma piacevoli, come possono essere quelli offerti da un semplice collezionista e una storica dell’arte appassionata. Si può fare la differenza».

A pancia piena dopo la visita, chiedo i programmi per la prossima abbuffata. La dieta estiva si rimanda a data da destinarsi: «Questo palazzo è diventato piccolo, bisognerebbe averne uno più grande. Poi se il percorso che fa un collezionista potesse essere uno stimolo per capire che esiste una barriera oltre la quale si può andare, che è quella della condivisione e della collettività, magari si potrebbe ispirare qualcun altro in questa direzione». 

Franco Signoretti nella sua biblioteca d’arte in Palazzo Perticari Signoretti

Antonio Pepe, 28 giugno 2025 | © Riproduzione riservata

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