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Antonio Pepe
Leggi i suoi articoliLe collezioni d’arte che valgono una visita non dipendono mai unicamente dal valore materiale dei singoli pezzi esposti. Confermano la regola della Gestalt per cui «il tutto è più della somma delle parti». Insomma, se è vero che i muri non parlano, i quadri che li abitano amano spettegolare con il visitatore sulle qualità di chi li ha appesi alla parete. Quando interrogati, svelano l’estetica del loro padrone, il suo maniacale senso dell’ordine o i momenti di abbandono al caos, qualche innocua parafilia, un’intransigenza morale sopra le righe, traumi nascosti e dissolutezze ostentate. La collezione Franco Maria Ricci, da visitare nel raffinato museo della Masone nel comune di Fontanellato, rientra fra queste in grado di raccontare le qualità dell’uomo che non c’è, nel silenzio di una stanza. Ma Ricci ha avuto lo scrupolo di segregare in due luoghi distinti le sue confidenze. Per accoglierle a pieno, dopo il museo, dovrete perdervi nel labirinto annesso, il più esteso dedalo botanico del mondo si vocifera, per ritrovarvi alla fine del percorso nelle pagine di un libro. L’editore godeva infatti di una doppia anima, una seriale da catalogatore e l’altra sregolata da visionario «serafiniano», per non ripetere borgesiano, amante dell’esotismo senza tempo in stile Wunderkammer. Non a caso una sala del museo dedicata alle vanitas spezza la parvenza filologica dell’intero allestimento, e le curiose anomalie tematiche dei suoi libri sono messe in riga, letteralmente, con incorruttibile cura. Per gestire il peso di un’eredità così ambivalente servono al contempo un polso forte e un tocco di velluto, visuali doppie, da Giano bifronte, per non arrendersi a una scelta sul bivio del passato e del futuro.
Edoardo Pepino, attuale imperatore del magico labirinto FMR, ci illustra i requisiti di sensibilità necessari al trono. Anche la sua è una formazione su due binari. I primi lo hanno portato a Parigi, ad occuparsi di arti minori nel mercato antiquariale, poi a Londra negli uffici Christie’s, quindi dalla scultura antica all’arte del Novecento. L’editoria lo ha ricondotto a casa dal 2010, a Milano, abituandolo a fare la spola verso l’oasi di verde nella Bassa Parmense, sotto l’ala di Ricci. Durante il tragitto di ritorno, che condivido con lui in uno di questi viaggi infrasettimanali, mi invita a riflettere sulla simbiosi inevitabile delle due creature ricciane, la casa editrice e la collezione. Non è una convivenza opzionale, né un aut aut, ma un mutualismo obbligato: «Il difetto del mercato dell’arte è, talvolta, la sua superficialità: anche acquisendo un occhio particolarmente attento devi mantenerlo su tante cose contemporaneamente. Il vantaggio dell’editoria, al contrario, è l’occasione di approfondire. L’editore non deve essere un conoscitore di tutto quello che pubblica, eppure lui ha l’opportunità per farlo, è qui la differenza: il libro rimane il modo migliore per imparare qualcosa». A una condizione, «un’editoria curata e attenta come la nostra è come l’opera lirica, non può garantirsi un autosostentamento con la sola distribuzione, ha bisogno di appoggi, partnership, sponsor. Non è un tabù, anzi, questa è una cosa che Ricci mi ha detto sin da subito. Lui stesso, in molta della sua attività, coltivò rapporti importanti con grandi sostenitori e committenti di progetti editoriali». È ciò che continuano a fare ancora oggi d’altronde, con singolare eleganza, Edoardo Pepino e Laura Casalis (moglie di Ricci e presidente dell’impresa), rafforzati da una valente équipe di giovani come Orsola Bontempi e Pietro Mercogliano. Far vivere la collezione, allestendo mostre e frequentando il mercato, e approfondire, spiluccare le rarità dell’arte, pubblicandole con la qualità che meritano. Grazie alla loro dedizione anche la rivista «FMR» è tornata a cantare dal 2022, dopo un lungo letargo. Gli antefatti del marchio sono già nella storia dell’editoria, italiana e mondiale, il resto si scrive tuttora. Allora tre domande a Edoardo Pepino sul presente e sul futuro.

Bartolomeo Schedoni, «Sacra Famiglia con San Giovannino», 1607-08
In che direzione si muove la collezione, negli acquisti e nell’allestimento?
Abbiamo circa 100mila visitatori all’anno e crediamo che il numero possa ancora crescere. Ciò grazie a un organico di persone brave e capaci che si occupano di tante sfaccettature dell’attività. Negli acquisti Franco Maria Ricci aveva degli innamoramenti. Se di Giambattista Bodoni avrebbe voluto collezionare tutto, nel mondo dell’arte collezionava di tutto, che fosse un’opera antica o moderna, per un innamoramento l’avrebbe comprata. Oggi noi facciamo un lavoro diverso, serve sviluppare un discorso. Ad esempio, abbiamo comprato un paio di anni fa due cere di Pieri, rappresentano due opere della collezione Farnese, oggi al museo di Capodimonte: «Lucrezia romana» del Parmigianino e il «Riposo d’Amore» di Bartolomeo Schedoni. Oltre al fatto che Franco Maria Ricci collezionava già cere policrome di Pieri, e Álvar González-Palacios avesse dedicato a questo artista un articolo nella nostra rivista, le cere riprendono due capolavori di artisti emiliani e ne tracciano la discendenza «parmigiana» attraverso la collezione dei Farnese. Schedoni poi ne abbiamo preso anche un altro di recente, una Sacra Famiglia acquistata a Tefaf lo scorso anno. E di Erté, artista del déco di cui avevamo già più di 20 opere, abbiamo recentemente acquistato all’asta alcune bellissime illustrazioni. Franco Maria Ricci, dicevo, rovesciava il rapporto. Prima collezionava Ligabue e solo dopo ci faceva il libro, o perlomeno in maniera parallela. E chissà: assecondare questo suo approccio potrebbe, un giorno, influire su un diverso allestimento del museo. Finora abbiamo seguito un ordine tutto sommato cronologico, oggi però siamo in un’epoca che favorisce la riflessione tra le opere. Ecco perché per esempio, durante le mostre temporanee al Labirinto, favoriamo spesso «incursioni» di altre opere e altri artisti dentro al percorso permanente.
«FMR» è rinata, il grande pubblico risponde?
Esiste un pubblico molto variegato di FMR. È guardata con affetto nostalgico dagli appassionati d’arte più âgé, ma anche con ammirazione ed entusiasmo da una giovane, crescente, generazione di bibliofili: un piccolo ma sparso (anche all’estero) gruppo di resistenza, che vuol trovare la forza, perché oggi ci vuole la forza, di far sopravvivere il libro, la carta stampata nel suo senso più alto. Per assecondare questa tensione, gli editori oggi dovrebbero rispondere con la qualità, e usare il digitale come strumento di promozione, ma purtroppo non sempre avviene così. Noi puntiamo a dare il nostro buon esempio e a cercare di trovare nuovi sodali, alleati che condividano con noi una sensibilità comune, l’arte medesima permette questi ritrovamenti e connessioni. Anche le opere d’arte fanno lo stesso, no? Pur sembrando inanimati, spesso capolavori distanti si ritrovano nei musei e nelle collezioni col mutare dei tempi. Lavoriamo, poi, a detta di un pubblico internazionale, che abbia interesse nelle cose più curiose e meno mainstream. (E qui importanti novità, Ndr) FMR a settembre esisterà per la prima volta anche in versione digitale. Ovviamente l’attaccamento al contenuto rimarrà fedele a una forma elegante e sofisticata, e lo scopo è quello di invogliare un pubblico più vasto a «collezionare» la rivista cartacea. Abbiamo scelto di proporre delle fasce di abbonamento diversificate con un parziale accesso gratuito. Sembra una contraddizione da parte di chi, come noi, sostiene così fermamente la tipografia, e invece sarà il modo per portare verso la carta stampata chi oggi si informa sul web, cioè quasi tutti.
La vostra realtà come si intreccia con il territorio?
Sempre seguendo, diversificando, ampliando… già il parco della Fondazione Franco Maria Ricci (edificio a poche centinaia di metri dal Labirinto) è visitabile in certi momenti dell’anno come lo è la collezione dei libri di Bodoni su appuntamento. L’idea di Franco Maria Ricci della tutela del territorio partiva anche da un particolare attaccamento a certe forme locali del Rinascimento e del Manierismo. L’Università di Parma ha promosso una «Cattedra Franco Maria Ricci» che invita annualmente figure di spicco nel mondo della cultura. Esiste, poi, una sinergia forse sempre maggiore con la Rocca Sanvitale di Fontanellato, a tre chilometri dal Labirinto. Il cuore della struttura è la Stufa, cosiddetta, di Diana e Atteone, una testimonianza del primo Parmigianino che raccoglie in una visione nitidissima, ma allo stesso tempo inedita, il mito ovidiano, traslandolo sulla storia privata, dolorosa, di Paola Gonzaga. Un progetto ambizioso (e ancora un po’ segreto) lega a noi questo capolavoro assoluto della pianura padana, ma tanti sono anche i cantieri per le mostre al Labirinto, i concerti, i nuovi libri...
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