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«Allegoria della morte» di pittore spagnolo, ambito di Juan de Valdés Leal (1622-90)

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«Allegoria della morte» di pittore spagnolo, ambito di Juan de Valdés Leal (1622-90)

Franco Maria Ricci, collezionista come nessuno

Secondo lo storico dell’arte Stefano Causa, solo due «raccoglitori», diversissimi l’uno dall’altro, possono reggere il confronto con l’editore parmense: Federico Zeri e Mario Praz. Lo conferma un volume edito dalla sua casa editrice

Stefano Causa

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Non sono passati quattro anni dalla morte di Franco Maria Ricci e le notizie provenienti da Fontanellato (Pr) testimoniano di un affettuoso puntuale lavorio di custodia della memoria. Lo conferma un volume che assoda il lascito di questo signore di Parma educatosi tra Antelami, le cupole correggesche e le edizioni di Giovanni Battista Bodoni della Biblioteca palatina di Parma. Si sente la mancanza di Ricci (uno che, barba a parte, non sfigurerebbe nei panni del Galeazzo Sanvitale di Parmigianino). Rileggete il corsivo di premessa al numero d’esordio, marzo 1982, della rivista «FMR» quando Ricci rievoca i tempi in cui l’amore per la bellezza era considerato virtù civica. Tu pensi a qualcuno che abbia introiettato le punte militanti di Federico Zeri raffinandole con la lettura di Gino Magnani e di uno scrittore dalla pagina in perenne quota figurativa come Stendhal. Quanto a me, ricordo come i guardiani di quella roccaforte del marxismo leninismo che è rimasta, in parte, la storia dell’arte in Italia, usassero stigmatizzare il tono patinato ossia, in ultima analisi, reazionario e destrorso, della «rivista più bella del mondo». 

Intelligente come Roberto Calasso anche Ricci, tra le intelligenze meno allineate di un paesone come l’Italia dove intelligenza e curiosità nascono già irregimentate in un format, aveva intuito quante cose fossero scivolate via dalle panoramiche artistiche e letterarie che assediano università e scaffali. Perciò provava a suggerire la propria, di versione della storia, dove i disegni di Luigi Serafini o le asole di Domenico Gnoli dessero la mano agli argenti votivi duecenteschi, ai marmi di Wildt, ai pastori napoletani, alle cere di Zumbo e ai ricami di Marianna Elmo. A commentare le immagini storici d’arte di riflesso, da Italo Calvino a Borges il cieco, con testi in rigoroso bodoniano, uno dei caratteri che ha improntato gli anni ’80. Timonato da Laura Casalis e servito da una legione di schedatori di età e competenze diverse il volume sulla collezione Ricci, tra le più idiosincratiche e meno ovvie del mondo, compone un autoritratto veridico. Quadri, oggetti, sculture, teschi e immagini di vanità e quel tanto di allegramente iettatorio che accompagna la genesi delle collezioni come un anticipo, in vita, del sepolcro. Ma qui, nelle stanze parmensi solo due raccoglitori, diversissimi l’uno dall’altro e diversamente presenti all’orizzonte mentale di Ricci reggono il confronto: il succitato Zeri e nessun altri che Mario Praz. «Non c’è gusto in Italia a essere intelligenti», diceva da Bologna, 124 chilometri da Fontanellato, Roberto Freak Antoni (leader del gruppo rock degli Skiantos, Ndr). Ma gusto e intelligenza possono essere sinonimi.

La collezione d’arte di Franco Maria Ricci al Labirinto della Masone
a cura di Edoardo Pepino e Elisa Rizzardi, 359 pp., ill. col. e b/n, Franco Maria Ricci, Fontanellato 2023, € 95

La copertina del volume

Stefano Causa, 28 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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Franco Maria Ricci, collezionista come nessuno | Stefano Causa

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