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Rischa Paterlini
Leggi i suoi articoliFotografia deriva dal greco «phôs» (luce) e «graphè» (scrittura). Per oltre 150 anni questa è stata la sua essenza: un’immagine che nasce quando la luce tocca una superficie fotosensibile. Oggi i confini si sono allargati ben oltre questa definizione. Lo dimostra la recente acquisizione del Getty Museum di Los Angeles dell’opera fotografica «Cristian en el Amor de Calle», generata tramite Intelligenza Artificiale dall’artista costaricano Matias Sauter Morera (1986). Così il Getty sancisce una svolta: la fotografia può nascere senza macchina fotografica, attraverso processi immateriali. Come aveva fatto con la pittura nell’800 al momento della sua comparsa, oggi la fotografia allarga i confini del medium, diventando ibrida, tecnologica e aperta e, a differenza di un Nft, è un’opera fisica e tangibile, che può essere esposta, conservata e venduta secondo le dinamiche del sistema dell’arte tradizionale.
Questa nuova prospettiva si riflette sul mercato. Sebbene il primo semestre del 2024 non sia stato particolarmente dinamico, il secondo ha segnato una ripresa significativa, trainata dalla concentrazione delle aste più rilevanti in questa parte dell’anno durante la quale sono state vendute sette delle dieci fotografie più costose. Il Report Deloitte Private, appena pubblicato, evidenzia un calo complessivo del fatturato del settore fotografico del -20,9% rispetto al 2023. Tuttavia, per coerenza metodologica con gli anni precedenti, il report non include i risultati delle aste di Post-War & Contemporary Art, che hanno registrato i nove top lot della fotografia per un totale di circa 12 milioni di dollari. Questo elemento ridimensiona la percezione di un calo del mercato, suggerendo come la fotografia continui a consolidare la sua presenza nell’arte contemporanea, ottenendo risultati di rilievo in contesti più ampi. A rafforzare questa prospettiva positiva, il report segnala anche una riduzione del tasso di invenduto, dal 25,4% al 20%. Questo dato riflette una maggiore selezione dei lotti e un crescente interesse dei collezionisti, confermando la capacità della fotografia di attrarre acquirenti e di adattarsi alle evoluzioni del mercato. Un chiaro segnale di come la fotografia stia trovando nuovi spazi, uscendo dalla nicchia specialistica e intrecciandosi con la scena artistica contemporanea.
Lo conferma la casa d’aste Christie’s, nelle cui sale londinesi a marzo, durante le aste di Post War and Contemporary, i dealer affollavano il parterre: «Le fotografie più iconiche e rare sono ormai inserite nelle aste di arte moderna e contemporanea, mentre le vendite private restano un canale privilegiato per le stampe più ambite». Christie’s, che nel 2024 ha di fatto monopolizzato la fascia alta del mercato fotografico, si è aggiudicata otto dei dieci top lot dell’anno, tutti venduti tra Londra e New York. Ai primi tre posti, le opere di Richard Prince della serie «Cowboy», tra cui spicca «Untitled (Cowboy)» del 1997, battuta per oltre 2,6 milioni di dollari. Seguono William Eggleston, con «Untitled» con un nuovo record personale a 1,44 milioni di dollari (superato nel 2025 dal portfolio completo «Los Alamos» venduto da Phillips il 18 marzo a 1.875.000 $). Poi Diane Arbus con «Cathleen and Colleen, Roselle, New Jersey», 1966, 1967-1969, fuori dal mercato per oltre vent’anni e venduta a 1,10 milioni (+18% sul record precedente). Edward Weston, con «Shell (Nautilus)» del 1927, 1,07 milioni, «Marilyn Monroe» di Richard Avedon, 880mila dollari. Da segnalare anche «Untitled (Face in Dirt)» di David Wojnarowicz, scattata nel 1991 (ed. 1/10), battuta da Sotheby’s per 381mila dollari, oltre dieci volte la stima. Un’immagine già in collezioni di musei come il MoMA, che torna sul mercato dopo quindici anni.
Segnali positivi anche da Phillips: «Il mercato della fotografia negli Stati Uniti, e in particolare a New York, resta vivace e solido. Nell’ultimo anno, circa il 20% degli acquirenti era rappresentato da collezionisti alle prime armi», spiega Sarah Krueger, Head of Photographs. Se le case d’asta stanno ridefinendo le coordinate del mercato globale, il panorama italiano è chiamato a giocare la sua partita, anche se le cifre, come sappiamo, sono ben lontane dai numeri internazionali. «Il 2024 è stato l’anno più forte nella storia recente del nostro dipartimento di fotografia», commentano Davide Battaglia e Marica Rossetti, Senior Specialist di Finarte. «Abbiamo chiuso con un fatturato complessivo di circa 1,3 milioni di euro, registrando ad aprile la migliore asta di fotografia mai realizzata in Italia, con un risultato superiore ai 450mila euro». A trainare sono stati i grandi nomi internazionali, «ma l’interesse verso i fotografi italiani sta crescendo in modo significativo: Basilico, Ghirri e Giacomelli restano punti di riferimento, stiamo però vedendo ottimi risultati anche per autori meno noti al grande pubblico, come Paolo Monti, Giovanni Chiaramonte e Riccardo Moncalvo. E il 2025 guarda avanti: abbiamo ridotto il numero di aste, da otto a sei, con un focus preciso sulla qualità. A giugno lanceremo “Italian Icons”, un catalogo di cento opere iconiche dei nostri maestri, per rilanciare la fotografia italiana sul mercato internazionale». Resta il nodo normativo: «Il limite di libera esportazione è ancora fermo a 25 anni per la fotografia, il che non agevola la partecipazione di clienti stranieri, rallentando molto l’esportazione delle opere acquistate», sottolineano da Finarte. Ma non è solo una questione di regole e vincoli amministrativi: il vero limite è anche culturale.

Matías Sauter Morera, «Leyenda», 2025. Courtesy the artist e Craig Krull Gallery
«Specializzarsi in fotografia può essere una scelta strategica per una galleria, perché permette di costruire un’identità forte e riconoscibile», spiega Federica Barletta di Ncontemporary. Lavorare esclusivamente con fotografi italiani è difficile, salvo rare eccezioni, faticano a ottenere la visibilità e le quotazioni dei colleghi internazionali. «Le ragioni sono diverse, prosegue Barletta, da un lato la qualità dei progetti, che spesso non affrontano con urgenza e originalità le questioni più rilevanti, restando ancorati a un’estetica di tendenza; dall’altro pesa l’assenza di un reale sostegno istituzionale. In Italia ci sono festival di grande valore come Fotografia Europea, Cortona On The Move e il più recente Exposed, ma manca un dialogo strutturato e continuativo tra i musei italiani e le istituzioni internazionali, indispensabile per costruire una vera scena fotografica nazionale proiettata all’estero».
A Londra, Michael Hoppen, tra i galleristi più esperti di fotografia e membro dell’Aipad (Associazione Internazionale dei Galleristi di Fotografia), racconta la strategia adottata dalla sua galleria: «Negli ultimi 8-10 anni, ci siamo concentrati sulla fotografia vintage, in particolare su quella giapponese del secondo dopoguerra. Questo settore si è dimostrato molto solido ed è stata una scelta di tempismo eccellente: il Giappone è un luogo meraviglioso dove lavorare e le opere su carta sono lì molto apprezzate, oltre che rappresentare un buon investimento finanziario». Un focus preciso che si inserisce in un contesto di mercato ben definito: «Il mercato britannico è sempre stato piuttosto piccolo rispetto a quello americano o francese, con una storica preferenza per la fotografia vintage piuttosto che per quella contemporanea». A complicare il panorama, negli ultimi anni, è la Brexit: «Per i costi di spedizione e la burocrazia doganale è più difficile partecipare a fiere e organizzare mostre itineranti».
In Germania, la fotografia gode di un forte riconoscimento culturale, soprattutto a Berlino e Düsseldorf, dove una solida tradizione accademica e istituzionale ha creato un terreno favorevole al mercato. Tuttavia, «sebbene l’interesse del pubblico sia alto, i collezionisti sono più cauti rispetto a qualche anno fa», forse anche a causa della tassazione. Fino al 2012, l’Iva sugli oggetti d’arte era del 7%, mentre la fotografia è sempre stata tassata al 19%. Dopo il 2012, l’aliquota per l’arte è stata uniformata al 19% e, nonostante l’inclusione della fotografia nel German Cultural Council avvenuta nel 2021, nel 2023 la riduzione dell’Iva al 7% per l’arte non è stata estesa alla fotografia. «Nonostante le pressioni di vari gruppi, una soluzione non è ancora stata trovata, creando un forte svantaggio per il mercato fotografico», commentano dalla galleria Springer di Berlino. Questa situazione spinge molte gallerie a rafforzare le collaborazioni con musei e grandi collezioni internazionali, dove la fotografia è considerata un investimento strategico. Un circolo virtuoso tra qualità espositiva e valore di mercato che, come sottolinea Hoppen, si riflette nel loro approccio: «Collaboriamo regolarmente con istituzioni come la Tate, il MoMA o il Centre Pompidou, perché la fotografia è ancora percepita come relativamente accessibile e quindi interessante anche per le acquisizioni museali».
Se le aste hanno trasformato la fotografia in un asset da Evening Sale e le gallerie costruiscono nuove narrazioni dialogando con le istituzioni, le fiere restano il punto di incontro. «Parigi è da sempre capitale della fotografia, spiega Florence Bourgeois, direttrice di Paris Photo. Oggi questo ruolo è ancora più centrale, perché la città è riuscita a combinare la sua profondità storica con un’attenzione crescente verso la fotografia contemporanea e sperimentale». Secondo Bourgeois, il mercato della fotografia in Francia «resta dinamico e resiliente, capace di trasformare i momenti di incertezza in opportunità di rinnovamento». Da un lato, la fotografia storica e vintage continua a essere una sicurezza per i collezionisti più tradizionali, dall’altro, cresce la domanda per «progetti sperimentali e nuovi artisti, che trovano spazio grazie a un collezionismo sempre più curioso e informato». Anche a Milano, dove la scena fotografica è meno strutturata rispetto a Parigi, la fiera (cresciuta negli anni) gioca un ruolo sempre più centrale. Come sottolinea Francesca Malgara, direttrice di Mia Photo Fair Bnp Paribas: «Abbiamo visto crescere la consapevolezza da parte delle gallerie di dover lavorare su progetti curatoriali forti, capaci di competere su un mercato globale, alla ricerca anche di progetti legati all’intelligenza artificiale, a cui il pubblico inizia a guardare con molto interesse». «Chi colleziona fotografia oggi non cerca semplicemente un autore, una scuola geografica o un genere, spiega Sarah Krueger, l’attenzione si concentra sulle idee e le esperienze dell’autore, insieme al soggetto rappresentato nell’immagine. I fotografi che integrano temi sociali nelle loro opere stanno riscontrando un interesse crescente, poiché i collezionisti e il pubblico tendono a gravitare attorno a immagini di forte impatto, capaci di stimolare il dialogo, promuovere la consapevolezza e ispirare il cambiamento». La fotografia diventa così uno sguardo critico sul presente, capace di attraversare un contesto globale segnato da guerre, crisi economiche e tensioni internazionali, restituendo complessità e visioni che interrogano il nostro tempo.
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