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Eva Langret, direttrice di Frieze EMEA

Photo of Vivek Vadoliya

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Eva Langret, direttrice di Frieze EMEA

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Eva Langret punta su visioni globali e radici locali

Oltre 160 gallerie per la prossima edizione di Frieze London che si muoverà tra ambizioni strategiche e identità locale

Monica Trigona

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Più di 280 gallerie prenderanno parte il prossimo autunno a Frieze London e a Frieze Masters (entrambe in programma dal 15 al 19 ottobre). Questa è la prima edizione delle veterane fiere britanniche dopo l’accordo raggiunto ad aprile dal magnate di Hollywood Ari Emanuel per l’acquisto dell’intero marchio Frieze dalla sua ex società, Endeavor. Gli occhi, e ancor più gli interessi economici e strategici, saranno quindi puntati su Regent’s Park per capire se l’affare sarà valso la pena nonostante il periodo non propriamente esaltante che sta vivendo il mercato. A guidare le due grandi mostre di arte contemporanea e arte antica sono rispettivamente Eva Langret e, fresca del suo incarico, Emanuela Tarizzo. Con una nota dello scorso giugno sul canale ufficiale della fiera, Langret aveva dichiarato l’importante ruolo della capitale inglese e della fiera quale componente rafforzativa del suo status di «centro di cultura contemporanea riconosciuto a livello mondiale». Frieze London radunerà oltre 160 gallerie provenienti da tutto il mondo attraverso una proposta curatoriale densa, articolata e profondamente radicata nelle urgenze del presente. Londra «è rappresentata» da 58 gallerie tra cui realtà storiche e consolidate accanto a spazi più sperimentali. Al loro fianco, come di consueto, appaiono i protagonisti della scena internazionale come Gagosian, David Zwirner, White Cube, Pace Gallery, Perrotin, Thaddaeus Ropac, Sprüth Magers, insieme a gallerie provenienti da contesti geoculturali meno centrali ma sempre più influenti, come Fortes D’Aloia & Gabriel (Brasile), Kurimanzutto (Messico), Gallery Hyundai (Corea del Sud), Jahmek Contemporary Art (Africa/Regno Unito), Taka Ishii Gallery (Giappone) e Tina Kim Gallery (Stati Uniti/Corea). 
In esclusiva per «Il Giornale dell’Arte», Eva Langret, direttrice di Frieze EMEA, ha raccontato alcuni momenti salienti della prossima edizione e del suo programma.

Carl Freedman Gallery a Frieze London 2024​​​. Photo: Linda Nylind

Cinque fiere «Frieze» nel mondo: due a Londra, una a New York, una a Los Angeles e una a Seul. Esiste un dialogo curatoriale e strategico tra voi direttori o operate indistintamente condividendo lo stesso marchio?
Le cinque fiere Frieze nel mondo condividono innanzitutto un approccio comune al contesto urbano che le ospita. Ogni edizione è profondamente radicata nella propria città e trae forza dalla relazione con la comunità locale. È proprio questo dialogo con il territorio a rendere ogni Frieze unica. Frieze London, ad esempio, riflette il dinamismo e la diversità culturale che caratterizzano la città. Pur operando in contesti molto differenti tra loro, noi direttori condividiamo una visione e un metodo di lavoro simili, adattandoli alle specificità di ciascun luogo. Un esempio concreto di questa sinergia è il Frieze Artist Award 2025, assegnato quest’anno all’artista londinese Sophia Al-Maria. Il premio, realizzato in collaborazione con Forma, offre a talenti emergenti o mid-career l’opportunità di produrre una nuova commissione per Frieze London. L’opera proposta da Al-Maria, «Wall Based Work (a Trompe LOL)», è uno spettacolo comico «drop-down» che l’artista presenterà quotidianamente all’interno del tendone della fiera. Il progetto risponde al tema del Frieze Artist Award di quest’anno, future commons (beni comuni futuri), condiviso tra le edizioni di Londra e Seul. Attraverso il linguaggio e i rituali della stand-up comedy, Al-Maria affronta tematiche profonde che spesso non fanno ridere, esplorando la vulnerabilità, l’esposizione e la condivisione emotiva. Pur esibendosi da sola, crea un’esperienza collettiva, in linea con lo spirito condiviso di Frieze.

Enrique López Llamas, «El otro protagonista de la noche», 2024–25. Courtesy of the artist and LLANO

Echoes in the Present è la nuova sezione, curata da Jareh Das, di Frieze che esplora i legami storici, culturali e spirituali tra artisti africani, brasiliani e le rispettive diaspore. In che modo si riescono a creare connessioni significative tra pratiche artistiche geograficamente distanti senza appiattirne le specificità culturali?
Esiste una storia comune, uno stesso «trade». Quando noi pensiamo alla diaspora africana di solito abbiamo in mente gli schiavi venduti ai mercanti dell’Europa occidentale per essere mandati a lavorare in America ma anche nella stessa Europa. Esiste però una diaspora africana in Sud America, basti pensare alla manodopera richiesta per le piantagioni di canna da zucchero in Brasile, di cui si parla di meno. Quello che qua si cerca di mostrare è la memoria di questa comune migrazione forzata attraverso la storia della terra dove vivono e da dove provengono. La creazione di un dialogo intergenerazionale, penso ad artisti come l’angolana Sandra Poulson e ai brasiliani Aline Motta e Alberto Pitta ad esempio, aiuta a intrecciare fili narrativi che, pur nascendo in contesti geografici diversi, condividono radici comuni legate alla memoria, alla spiritualità e alla resistenza. Questa sezione di Frieze intende quindi non tanto costruire un’unica narrazione quanto creare uno spazio di ascolto e restituzione, dove le voci di artisti della diaspora africana possano risuonare e arricchirsi a vicenda, pur mantenendo la propria specificità.

Alberto Pitta, «Ogum Wari, o primeiro ourives de Oxum» (dettaglio), 2023. Courtesy of the artist and Nara Roesler. Photo: Flavio Freire

Parliamo di Artist-to-Artist, sezione peculiare della fiera in cui vengono allestite mostre personali di artisti su suggerimento di noti colleghi. Chi sono quest’anno i «mentori» e chi supportano?
Avviata nel 2023 in occasione del ventennale di Frieze London, Artist-to-Artist ha introdotto un nuovo formato. Nomi di rilievo della scena internazionale sono stati invitati a selezionare artisti emergenti o meno noti, per offrire loro un proprio spazio espositivo all’interno della fiera. Alla sua terza edizione, la sezione quest’anno vede Camille Henrot «portare» Ilana Harris-Babou, Nicole Eisenman scegliere Katherine Hubbard, Abraham Cruzvillegas presentare Ana Segovia, Chris Ofili proporre Neal Tait, Amy Sherald sostenere René Treviño e Bharti Kher indicare T. Venkanna. Si tratta di passare la parola a qualcuno che si stima per diversi motivi: talvolta per un legame personale, come una vecchia amicizia o un rapporto maestro-allievo, altre volte per affinità intellettuale, stima reciproca o una comunanza di ricerca artistica. Noi lavoriamo molto direttamente proprio con gli artisti perché sono loro a offrire una prospettiva preziosa, generosa, capace di arricchire profondamente la proposta curatoriale della fiera.

 

René Treviño, «Intuition, Premonition, Foresight», 2022. Courtesy of the artist and Erin Cluley Gallery

Lo scorso anno mi ha detto che per lei Londra è un «global meeting point». Lo pensa ancora alla luce dei cambiamenti nel panorama geopolitico?
La Brexit ha sicuramente cambiato molto la situazione, ma questo è ancora il mercato più importante del mondo. Londra continua a esercitare un’enorme attrattiva internazionale: per gli artisti, i collezionisti, le gallerie. La sua forza sta nella capacità di mettere in dialogo voci, culture e prospettive diverse, anche in un contesto geopolitico più frammentato. Certo, le sfide non mancano, dalle restrizioni alla pressione sui costi, ma lo spirito dinamico e cosmopolita della città rimane intatto. In una fiera come Frieze, questa energia si percepisce con chiarezza. Presto a Londra troveranno casa due importanti fondazioni, quella della collezionista d’arte e filantropa cinese Yan Du, la Yan Du Projects (YDP), e quella della curatrice e collezionista tunisina Lina Lazaar. Queste scelte la dicono lunga sul ruolo svolto ancora oggi dalla capitale inglese.

 

Do Ho Suh, «Karma», 2016. © Do Ho Suh. Courtesy of the artist and STPI – Creative Workshop & Gallery, Singapore

Come ha funzionato la nuova planimetria «aperta» progettata la scorsa edizione da A Studio Between?
La nuova pianta di Frieze ha rinvigorito la fiera: la circolazione è stata resa molto più facile, non ci si può perdere. È decisamente migliorata la fruizione dello spazio perché si riesce a visitare tutto. La sezione Focus, quella dedicata a gallerie con meno di dodici anni di attività alle spalle, un tempo era in una posizione marginale mentre adesso è molto più vicina all’entrata, diventando il «cuore» della fiera.

Monica Trigona, 09 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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