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Vittorio Bertello
Leggi i suoi articoliA Ragusa, presso la Cattedrale di San Giovanni Battista, è stato presentato il restauro dell’Arca Santa di San Giovanni Battista. L’intervento, volto alla conservazione e alla valorizzazione di uno dei simboli più significativi della fede, della devozione e della storia della comunità ragusana, è stato reso possibile grazie al contributo del Comune di Ragusa, della Conferenza Episcopale Italiana-8xMille, dell’Assemblea Regionale Siciliana, della Banca Agricola Popolare di Sicilia, del signor Vincenzo Dipasquale e dei fondi propri della Cattedrale.
Alla presentazione sono intervenuti Giuseppe La Placa, vescovo di Ragusa, Antonino De Marco, soprintendente ai Beni Culturali, Giuseppe Cassì, sindaco di Ragusa, Giovanni Gurrieri, assessore ai Centri Storici, Gaetano Cartia, consigliere della Banca Agricola Popolare di Sicilia, don Giuseppe Antoci, direttore Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Ragusa, l’argentiere Benedetto Gelardi e il, restauratore Giuseppe Mercurio.
L’Arca fu commissionata nel 1730, ma alcuni pezzi risalgono anche al secolo precedente: il piatto della testa di San Giovanni, una delle opere più importanti dell’argenteria siciliana, fu infatti realizzato nel 1641, mentre la testa del busto di Santa Maria Maddalena, sul lato opposto dell’Arca, risale alla seconda metà del Seicento.
Durante la lavorazione sono emerse importanti informazioni relative all’opera. La scultura del Battesimo di San Giovanni nascondeva sotto una placca sovraesposta, il nome dello scultore che nell’Ottocento realizzò l’opera. Analogamente è stato verificato che l’effigie della Maddalena è il risultato di una combinazione di maestranze diverse e lontane tra loro: il busto è di manifattura catanese, contraddistinto dal punzone con il «liotro» (l’elefante, simbolo della città di Catania), mentre la testa è stato appurato essere di manifattura messinese, evidenziata dal punzone con lo scudo crociato.
«L’Arca Santa di San Giovanni Battista è un manufatto complesso, ha puntualizzato don Giuseppe Antoci. Costituito da parti in legno, in argento sbalzato e in rame dorato, lo stato di conservazione era piuttosto precario, le parti in legno risultavano disconnesse e attaccate dai tarli. Le parti in lamina d’argento risultavano le più compromesse in quanto distaccate dal supporto ligneo, fratturate in varie parti, fortemente ossidate, ammaccate e deformate. Anche le parti in rame dorato risultavano abrase, deformate e in alcune parti prive della doratura».
L’intervento, come ha illustrato Giuseppe Mercurio con l’ausilio di preziose immagini degli interventi di restauro, è consistito in varie fasi: • rimozione di tutte le lamine in argento dal supporto ligneo, naturalmente previa catalogazione; • riparazione, pulitura dalle ossidazioni e ristabilimento della forma originaria delle stesse lamine; • disinfestazione e ristabilimento della forma originaria del supporto ligneo; • restauro delle dorature; e • ricollocazione sul supporto ligneo delle parti metalliche. «Probabilmente, ha osservato il relatore, il manufatto è stato oggetto di diversi restauri, però mai documentati. Questo è il primo restauro che rimarrà catalogato e supportato da un apposito verbale».
Così ha commentato Giuseppe La Placa: «Il restauro accresce il valore dell’opera d’arte e quello che la stessa rappresenta nella memoria e nella tradizione dei ragusani. Custodire la bellezza è una responsabilità collettiva perché essa è patrimonio universale; quando si tratta di restituire alla comunità un’opera bella, questa responsabilità ci appartiene. Voglio davvero ringraziare tutti, perché con il contributo e con l’opera di tutti accresciamo il patrimonio culturale di una città che proprio perché possiede opere belle, si rafforza nella sua identità».
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