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Alessia De Michelis
Leggi i suoi articoliNel 2026 la Collezione Peggy Guggenheim costruisce il proprio programma espositivo come un racconto a ritroso sulle origini e sulle diramazioni di un collezionismo capace di incidere profondamente sulle vicende artistiche del Novecento. Al centro, due capitoli solo in apparenza distanti: l’esperienza londinese della galleria Guggenheim Jeune e la Fucina degli Angeli a Murano, messi in dialogo con la collezione permanente del museo veneziano.
Ad aprire le danze sarà «Peggy Guggenheim a Londra. Nascita di una collezionista» (dal 25 aprile 2026-19 ottobre 2026), a cura di Gražina Subelytė e Simon Grant. La mostra approfondisce il periodo fondativo tra il 1938 e il 1939, quando Peggy Guggenheim, attraverso la sua prima galleria londinese, definì la propria identità di mecenate e collezionista. Guggenheim Jeune divenne in pochi mesi un crocevia delle avanguardie, ospitando oltre venti esposizioni pionieristiche: dalla prima personale londinese di Kandinsky a rassegne dedicate al collage e alla scultura contemporanea. Un centinaio di opere (Eileen Agar, Salvador Dalí, Barbara Hepworth, Vasily Kandinsky, Rita Kernn-Larsen, Piet Mondrian, Henry Moore, Cedric Morris, Sophie Taeuber-Arp), provenienti da musei e collezioni private internazionali, restituisce quel clima di fervida sperimentazione, affiancato da materiali d’archivio che documentano una rete di relazioni decisive. Dopo Venezia, la mostra approderà alla Royal Academy of Arts e quindi al Guggenheim di New York.
In autunno, il focus si sposterà sul secondo dopoguerra con «Fucina degli Angeli. Peggy Guggenheim e il vetro artistico del Novecento» (dal 14 novembre 2026 al 29 marzo 2027), a cura di Cristina Beltrami. Attraverso oltre cento opere in vetro, disegni e documenti, l’esposizione ricostruisce l’avventura visionaria avviata da Egidio Costantini negli anni Cinquanta, evidenziando le collaborazioni con artisti come George Braque, Alexander Calder, Lucio Fontana, Fernand Léger e Pablo Picasso. Fondamentale il sostegno di Peggy Guggenheim, vera «madrina» del progetto, che ne favorì la proiezione internazionale e il dialogo con il mercato americano. Un dittico espositivo che illumina, da prospettive diverse, la forza generativa del suo sguardo.