«Tell me everything you saw and what you think it means» (2018) di Sin Wai Kin, Haarlem, Frans Hals Museum

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«Tell me everything you saw and what you think it means» (2018) di Sin Wai Kin, Haarlem, Frans Hals Museum

Drag ovunque ad Haarlem

Partendo dalle nuove acquisizioni, il Frans Hals Museum approfindisce il tema del travestitismo nell’arte

Non potevano che essere i Paesi Bassi, pionieri in tematiche oggi attualissime come gender fluid e difesa dei diritti Lgbtq+, a dedicare una mostra al travestitismo nella storia dell’arte. Accade dal 12 aprile al 13 ottobre al Frans Hals Museum, le cui curatrici Maaike Rikhof e Manique Hendricks, quest’ultima specializzata in arte contemporanea mediatica e digitale con particolare attenzione per la rappresentazione del corpo e l’identità di genere, propongono «The Art of Drag»

«Il drag è ovunque, affermano Rikhof e Hendricks. Basti pensare al celebre reality televisivo statunitense RuPaul’s Drag Race o alla vincitrice dell’Eurovision Conchita Wurst. Ma non c’è niente di nuovo. Il drag esisteva già nella tragedia greca, quando sul palcoscenico venivano ridicolizzati gli stereotipati ruoli di genere, ed è un soggetto diffuso nelle arti visive. Intorno al 1900 gli artisti dei Paesi Bassi rappresentavano spesso l’Hartjesdag (il giorno di Hartjes), festività tradizionale di Haarlem in cui gli uomini si vestivano da donne e viceversa. Alcuni artisti, come Ferdinand Erfmann, erano dei travestiti o indossavano abiti drag o ritraevano persone che si esprimevano con queste modalità, come Kees van Dongen. In mostra proponiamo anche opere contemporanee di Sin Wai Kin, Sarah Lucas, Gillian Wearing, Julius Thissen e Yamuna Forzani, che trascendono le categorie tradizionali e gli stereotipi legati a mascolinità e femminilità. “The Art of Drag” è una celebrazione dell’essere sé stessi, della libertà e dell’esuberanza di esprimersi». Vengono infatti esposte e valorizzate opere entrate lo scorso anno nella collezione permanente del museo, come «Tell me everything you saw and what you think it means» (2018) dell’artista non binaria Sin Wai Kin e «Caress» (2022) dell’attivista queer Yamuna Forzani

Le sezioni espositive sono quattro: «Il drag è arte», «Nasciamo tutti nudi e il resto è drag», «Drag: niente di nuovo» e «Donne in pantaloni». «Siamo tutti nati nudi e il resto è drag» in particolare cita un’affermazione della drag queen afroamericana RuPaul Andre Charles, suggerendo quanto le scelte legate all’apparenza, come vestirsi e truccarsi, siano da sempre strumenti fondamentali per la definizione o l’attribuzione dell’identità. Questa sezione affronta anche le molteplici forme assunte dall’«arte» del travestimento e la sua non facile affermazione sociale, come dimostra in modo esemplare l’esperienza dell’artista di Rotterdam Ferdinand Erfmann (1901-68), che trovò nella pittura un fondamentale mezzo espressivo in cui rappresentò (spesso di notte e vestito lui stesso da donna) un mondo androgino ed esibito, per il quale trasse ispirazione da disegni e fotografie del suo alter ego drag. 

«Donne in pantaloni» evidenzia invece come l’appropriazione di modi e capi tipici dell’abbigliamento maschile (la cravatta, i pantaloni, i capelli corti) siano divenuti intorno al 1900 simboli della nascente lotta per la parità dei diritti da parte delle donne appartenenti alle classi benestanti della società, spesso definite con disprezzo manwives. Il catalogo curato da Rikhof e Hendricks (Uitgeverij Waanders ed.) amplia lo sguardo alla storia internazionale del drag, dalle opere teatrali di Shakespeare alla club culture. 

«Dance café» (1928), di Ferdinand Erfmann. Frans Hals Museum, Haarlem

Elena Franzoia, 10 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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Drag ovunque ad Haarlem | Elena Franzoia

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