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«Compianto su Cristo morto» di Masolino, Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea (particolare). Foto: Rabatti e Domingie

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«Compianto su Cristo morto» di Masolino, Empoli, Museo della Collegiata di Sant’Andrea (particolare). Foto: Rabatti e Domingie

Dopo 600 anni, una retrospettiva su Masolino

Nel novembre 1424 gli fu pagato il «Ciclo della Vera Croce» nella Chiesa di Santo Stefano a Empoli; visitiamo oggi in compagnia del curatore Andrea De Marchi la prima mostra interamente dedicata al maestro da Panicale

Elena Franzoia

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Sono Silvia De Luca, Andrea De Marchi e Francesco Suppa i curatori della mostra «Empoli 1424. Masolino e gli albori del Rinascimento» (dal 6 aprile al 7 luglio), promossa dal Comune con il contributo della Fondazione Cr Firenze in occasione del 600mo anniversario della realizzazione del «Ciclo della Vera Croce» nella Chiesa di Santo Stefano. Si tratta della prima mostra in assoluto interamente dedicata a Masolino da Panicale (1383/84-1436/40) e ne raccoglie il maggior numero di opere mai finora presentato.

Professor De Marchi, come nasce questa mostra?
Tutto nasce dal fatto che nel novembre 1424 Masolino viene pagato dalla Compagnia della Croce presso gli Agostiniani di Santo Stefano perché ha affrescato la cappella con il «Ciclo della Vera Croce». Dopo i bombardamenti Ugo Procacci ne ritrovò dei frammenti, più che altro sinopie, identificando un ciclo che dopo quello di Agnolo Gaddi a Firenze e prima di quello di Piero della Francesca ad Arezzo è il più importante dedicato a questo tema. Il momento è molto interessante, perché in un breve lasso di tempo Masolino prima è a Empoli, poi va a Firenze ad affrescare la Cappella Brancacci e in un terzo momento assolda al suo fianco Masaccio.

Perché allora Empoli e non Firenze?
Nel 1424 a Empoli lavora molto, sempre nella Chiesa di Santo Stefano che infatti è la sede principale della mostra. Non l’unica, perché la primissima parte del progetto espositivo si trova nella Collegiata di Sant’Andrea, che presenta il contesto in cui Masolino opera e che abbiamo riallestito per l’occasione, rimontando peraltro un polittico del Gerini di fine ’300. A Santo Stefano la mostra coinvolge anche la Cappella della SS. Annunziata, dove riportiamo gli affreschi dello Starnina da lì strappati, il transetto destro e la Cappella della Maddalena di Bicci di Lorenzo. Della giovinezza di Masolino presentiamo un bellissimo San Francesco di collezione privata, del tutto inedito, a fianco della famosa Madonna dell’Umiltà Contini Bonacossi degli Uffizi, del 1415 circa, pubblicata da Longhi, portata in Germania da Göring e recuperata da Siviero.

Empoli è sempre stata una città «industriale», senza le nobili tradizioni di San Miniato al Tedesco, Lucca o Pistoia, ma nel Quattrocento così ricca da ingaggiare maestri fiorentini come Lorenzo Monaco, Gherardo Starnina, il giovane Donatello, che lascia una Madonna in terracotta nella Chiesa di San Martino a Pontorme, Masolino e più tardi altri, come Bicci di Lorenzo. La mostra offre quindi l’occasione, oltre che di rilanciare la Collegiata, di raccontare un pezzo di storia della pittura fiorentina visto da un centro non poi così periferico dato il considerevole flusso economico che, come Prato, riusciva a generare.
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Ma com’era veramente Masolino?
Si tratta di un artista un po’ enigmatico, un po’ sfuggente, di cui ci manca tutta la fase giovanile. Probabilmente all’inizio del Quattrocento è allievo di Ghiberti a Firenze e collabora alla Porta nord del Battistero. Non è quindi un caso che, come il più giovane Paolo Uccello, Masolino sia all’inizio un elegantone, un tardogotico sfegatato, in seguito un po’ travolto dalle novità masaccesche e donatelliane. A un certo punto però l’artista sparisce da Firenze, tanto che nel 1425-26 va in Ungheria a lavorare per Pippo Spano, lasciando Masaccio solo ad affrescare la Brancacci. Sicuramente aveva già viaggiato nel Nord Italia, dove torna alla fine della sua vita, nel 1435, a Castiglione Olona. A Firenze si trattiene pochi anni cruciali, tra il 1422 e il 1425.

Io lo vedo come un personaggio inquieto, globetrotter, geniale anche se spesso considerato un po’ schiacciato all’ombra di Masaccio. Era invece un pittore scenotecnico, di grandi trovate compositive e ambientali come dimostra ad esempio, nella Cappella della Vera Croce, il loggiato in cui i confratelli appaiono tutti inginocchiati verso la parete in fondo, ma rappresentati a livello del pavimento. Sempre in Santo Stefano rimane anche una scena, prima male interpretata, in cui abbiamo capito che si vede la Festa della Candelora, tema assolutamente insolito. Il vero capolavoro empolese di Masolino resta comunque la «Pietà», esemplare del gusto di primo ’400 di caricare di pathos le iconografie tradizionali, teatralizzando gli affetti. Si tratta sicuramente del vertice della sua pittura, realizzato dopo la Brancacci e la Sant’Anna Metterza.

E il rapporto con Masaccio?
Quando nel 1424 incontra Masolino, Masaccio ha 22 anni ed è già un artista maturo, capace di stabilire con l’artista più anziano, che è collega e non maestro, un dialogo affascinante. Si tratta peraltro di due artisti conterranei, ma è divertente notare come mentre il podere di Panicale dei Renacci si trovi nella campagna di San Giovanni Valdarno, e quindi Masolino sia di umili origini, Masaccio sia figlio di un notaio e venga dall’abbiente borghesia cittadina, al contrario di quello che penseremmo. Dal nostro punto di vista, il fatto di essere dei provinciali dà loro comunque una marcia in più rispetto agli artisti fiorentini, uno sguardo più libero, che porta probabilmente Masolino a viaggiare per scappare un po’ da Firenze.

Elena Franzoia, 04 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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