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Il team di Artsy Auctions nel quartier generale di Artsy a Tribeca, New York © Courtesy of Artsy

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Il team di Artsy Auctions nel quartier generale di Artsy a Tribeca, New York © Courtesy of Artsy

Digitalizzare le aste: istruzioni per l’uso

L’iPad sta progressivamente rimpiazzando la paletta in quella che si annuncia come una rivoluzione copernicana

Sarah P. Hanson

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Alle quattro di mattina, ora di Seattle, Devang Thakkar non è ancora del tutto sveglio, e deve stropicciarsi più volte gli occhi per seguire sullo schermo l’asta online di Phillips Hong Kong. Un cliente nel New Jersey sta lanciando offerte dall’app di Artsy, nel tentativo di aggiudicarsi un dipinto di George Condo. L’offerente viene superato una volta, poi due, ma alla fine prevale, aggiudicandosi il Condo per 2,48 milioni di dollari di Hong Kong (circa 270mila euro), un prezzo oltre le stime di partenza. È in quel preciso momento che Thakkar, ingegnere informatico e responsabile per le aste di Artsy, capisce che la sua idea sta funzionando.

Con l’annuncio di quest’estate da parte della start up newyorkese dell’ulteriore apporto di 50 milioni di dollari di nuovi investimenti, si assiste a un’escalation nella guerra delle aste online. Secondo l’Hiscox Online Art Trade Report del 2017, lo scorso anno ha si è assistito a una crescente competizione nel settore delle vendite digitali, che ha causato il fallimento di start up online che avevano scommesso di «smembrare» questo segmento del mercato stimato in 3,75 miliardi di dollari. Quanti ne hanno raccolto il testimone si stanno affacciando agguerriti sulla scena; con una mossa audace, Sotheby’s ha annunciato lo scorso agosto che avrebbe soppresso i diritti sul compratore nelle sue vendite «online only».

Nessun venditore singolo ha ancora raggiunto una massa critica e il modello che si è dimostrato di maggiore efficacia è quello del mercato delle «terze parti», che non rappresenta una minaccia per i marchi esistenti e consolidati, ma ne è un facilitatore. Invece di competere per qualità degli affidamenti con case d’asta in carne e ossa, esse le aiutano a rivolgersi a una clientela più ampia e a fornire sofisticate tecnologie per le offerte dal vivo.

È un vero cambiamento di filosofia
Megan Newcome, direttrice per la strategia digitale di Phillips, che ha sperimentato varie collaborazioni online, ritiene che ci troviamo di fronte a un «cambiamento di filosofia». «Penso che nel passato l’idea fosse: “collaboriamo con questi siti nella speranza che chi partecipa alle aste venga da Phillips e si dimentichi dei vecchi canali”». Ora, dice, il senso è che più accessi ci sono, meglio è: «Non stiamo necessariamente cercando di portarli da Phillips. Vogliamo soltanto esporre quel pubblico al marchio Phillips».

La Invaluable di Boston ne è un esempio. Con 5.400 venditori, tre milioni di accessi singoli al mese e 10 miliardi di dollari di oggetti elencati, è un gigante nell’arena delle piattaforme di terze parti (in seconda posizione, LiveAuctioneers conta circa 3.500 venditori). Il suo direttore generale dal 2012, Rob Weisberg, un ex dirigente della Zipcar (il servizio di car sharing più grande del mondo), ritiene che l’iPad abbia rimpiazzato la paletta: più del 40% del traffico del sito proviene da dispositivi mobili.

Lanciata nel 2009, Invaluable.com è il prodotto della fusione di società di supporto alle aste, tra le quali il vasto database di prezzi all’asta ArtFacts. Fornendo un applicativo plug-in integrato ai siti web delle case d’asta e proponendo migliaia di vendite ai clienti potenziali attraverso un singolo portale, Invaluable consente alle piccole case d’asta locali di avere visibilità a fianco di società multinazionali.

Questo modello, per mezzo del quale le case essenzialmente «mantengono» i clienti esistenti nei loro propri siti, ma acquisiscono l’accesso a un pubblico più ampio attraverso Invaluable.com, «ha creato una “separazione tra Chiesa e Stato” che è gradita alle case d’asta», dice Weisberg. Se si è Sotheby’s, dice, «non si ha visibilità sul comportamento di un cliente di Christie’s, a meno che quel cliente non compri da entrambe. Invaluable è nella posizione di vedere il comportamento dei compratori attraverso 5mila case d’asta… fornendo loro la capacità di focalizzare il target attraverso canali ai quali, da sole, non sarebbero in grado di accedere».

Per i compratori, è un posto in cui cercare e fare offerte. «Agiamo come dei personal shopper, spiega Weisberg. Di fatto, analizziamo 10mila cataloghi al mese al posto vostro per individuare e selezionare solo ciò che vi interessa trovare». Le belle arti sono la categoria più popolare del sito, che offre anche antiquariato, gioielli, mobili e altri oggetti collezionabili. Da questo panorama è assente Christie’s, che favorisce i canali di sua proprietà. Le vendite attraverso il suo sito hanno totalizzato lo scorso anno 217 milioni di dollari. Anche Bonhams ha finora schivato le piattaforme di terzi.

La tecnologia di Invaluable, sul modello del funzionamento del mercato borsistico Nasdaq, è utilizzata da eBay Live Auctions e da Sotheby’s che, fin dal 2015, ha fatto affidamento su Invaluable per potenziare le proprie attività online. «Teniamo 17mila aste all’anno, 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, 365 giorni all’anno, in 52 Paesi, dice Weisberg. Questione di millisecondi. Bisogna essere capaci di cogliere offerte di acquisto ad alta frequenza da tutto il mondo».

Nel 2016 ha potenziato la sua qualità video, una caratteristica che Weisberg crede sia essenziale per accendere la competizione: «È un po’ come essere a un incontro di pugilato ad altissimo livello. La qualità video dal vivo è essenziale per mantenere quel senso di eccitazione». Quando la scorsa estate ha letto su TechCrunch che il cofondatore di Artsy Carter Cleveland aveva dismesso la tecnologia video fino allora utilizzata in quanto non più adeguata per il suo sito, data la diffusione globale degli utenti di Artsy, dice Weisberg, «volevo mandare una nota dicendo “Noi l’abbiamo fatto da cinque anni”».

Creiamo un circolo virtuoso
Se Invaluable si è creata una reputazione nel traghettare le aste verso il mondo digitale, la sempre in evoluzione Artsy è un’entità più amorfa che tende a ispirare tanto entusiasmo quanto confusione. Il suo cofondatore e presidente Sebastian Cwilich, un ex dirigente di Christie’s, dice di voler trasformare l’azienda in un hub centralizzato per tutte le informazioni e le transazioni sull’arte, e la società ha finora attratto più di 100 milioni di dollari di investimenti, tra cui quelli dei mercanti Larry Gagosian e Dasha Zhukova, la fondatrice del Garage Museum of Contemporary Art di Mosca.

Secondo Robert Read, autore del rapporto Hiscox, le start up artistiche sono di fronte a una sfida «dell’uovo o della gallina»: devono generare fiducia per assicurarsi partner di qualità o affidamenti, il che genera a sua volta maggiore fiducia, creando un circolo virtuoso. Consapevole di questo meccanismo, Artsy ha sistematicamente coltivato attori del mondo dell’arte che vanno dai musei alle fiere alle gallerie grandi e piccole, contemporaneamente consolidando le proprie credenziali nei confronti di un pubblico giovane e ossessionato dalla tecnologia con dei party molto «cool» ad Art Basel Miami Beach e altri eventi. Artsy rivendica 24 milioni di singoli accessi da quando il sito venne lanciato nel 2012, la maggior parte dei quali attratti dal suo vasto bacino di contenuti editoriali. Il pane quotidiano del sito è l’elenco delle mostre e delle opere d’arte di 2mila gallerie di tutto il mondo, che aiuta a realizzare più di 20 milioni di dollari di vendite mensili.

Quando arrivò nel 2015, l’obiettivo di Thakkar era di creare un integrazione tra le aste dal vivo che, nella sua eleganza e accuratezza, migliorasse la fiducia in quello sfuggente settore. Si affidò a un sistema ibrido nel quale un addetto di Artsy in sala traduce il flusso di offerte nella app Artsy, mentre le offerte degli utenti, comprese quelle fatte prima dell’inizio della vendita, appaiono automaticamente all’addetto che le trasmette in sala per conto del cliente.
«Dietro ci sono algoritmi parecchio complessi», dice Thakkar che, quando era da Microsoft, inventò la combinazione di tasti control-Z, «annulla». «Ma li abbiamo semplificati in una cosa a misura d’uomo, in sei tasti. Impossibile sbagliare». Dalla prima vendita dal vivo con la casa d’aste svizzera Koller nel giugno del 2016, ricorda un solo intoppo: quando il cloud di Amazon, che ospita tutte le immagini, andò in tilt, e una vendita di Phillips dovette essere ritardata di 30 minuti.

Da due aste nel 2015 a 41 nel 2016, Artsy è avviata a realizzarne più di 170 nel 2017, accompagnando il suo pubblico a selezionare vendite da Christie’s, Sotheby’s e Phillips, oltre a una varietà di case d’asta più piccole, comprese Rago di Lambertville nel New Jersey, Waddington’s di Toronto e Veritas in Portogallo. L’attività all’asta è cresciuta del 900% all’anno, con clienti di Artsy in 84 Paesi che lanciano offerte su un terzo di tutti i lotti elencati sul sito e aggiudicandosene l’8% circa.

La creatività commerciale si scatena

Heritage Auctions, con un fatturato di 348,5 milioni di dollari in vendite online nel 2016, non sembra aver bisogno dell’aiuto di Artsy, ma lo scorso anno la casa d’aste di Dallas ha iniziato a inserire vendite selezionate nell’elenco di Artsy per raggiungere un’audience diversa. Leon Benrimon, direttore della casa per l’arte moderna e contemporanea a New York, è in grado di vendere materiale più importante su Artsy di quanto non riesca a fare sul proprio sito e ha anche accettato affidamenti da utenti di Artsy. Nella scorsa stagione, ricorda, Heritage ha offerto un Alex Israel tramite Artsy. «Abbiamo ricevuto offerte fino alla stima superiore di 200mila dollari su Artsy prima dell’inizio della vendita. Non quello stesso giorno, prima. È successo ciò che nessuno avrebbe detto potesse succedere».

Ma se i compratori lanciano offerte su Artsy, essi diventano a tutti gli effetti clienti di Artsy, ed è qui che la rete di gallerie del sito diventa un effettivo vantaggio. Per quanti perdono un lotto, «facciamo in modo che gli utenti scoprano altre cose in futuro», dice Thakkar. In base alle loro preferenze, gli utenti potrebbero ricevere un’email che mostra loro quali altre opere dell’artista sono disponibili in altre aste o gallerie presenti sul sito.

Se l’opera è un’edizione, Artsy può essere capace di reperirne un’altra interpellando la sua rete di venditori. «Stiamo iniziando con una fase sperimentale: se c’è quacosa di corrispondente disponibile oggi, come possiamo creare un migliore contatto?», dice Thakkar. Ma, come per il suo nascente canale di affidamenti, ogni matchmaking (il procedimento di individuazione di offerte più rispondenti a una domanda, Ndr) di Artsy è un’arma a doppio taglio: «Entrambe le parti devono accordarsi e solo dopo le mettiamo in contatto. Stiamo studiando quanto possiamo fare per questo scenario di underbidder, in che modo, sotto un ombrello di privacy, possiamo iniziare a presentare gente».

La società è alla ricerca di modi creativi per far leva su dati di domanda e di offerta che sta raccogliendo. Anders Petterson, fondatore della società di ricerche di mercato ArtTactic, dice: «Penso che per coinvolgere gente nuova, siano necessari nuovi strumenti. I nuovi collezionisti vogliono trasparenza, in particolare sul mercato online. E c’è il settore dei servizi finanziari che guarda all’arte come a una classe alternativa di investimenti, uno strumento finanziario, e ha bisogno di dati». Finora il mondo dell’arte era troppo piccolo e troppo sfuggente da quantificare con le fonti di dati esistenti, e quelli che disponevano di maggiori informazioni desideravano tenersele per sé.

In aprile, Artsy ha acquisito ArtAdvisor, una società di studio dei dati cofondata da Lucas Zwirner e da Hugo Liu, specialista del «gusto» formatosi al Mit di Boston, che è stato assunto come primo scienziato capo di Artsy. I settori di cui Liu si occupa sono la previsione delle tendenze e l’intelligenza artificiale; la sua assunzione suggerisce come la società voglia sempre più affidarsi ai dati personalizzati per creare approfondimenti utilizzabili. «I dati ci permettono di creare una migliore “customer experience”», dice Cwilich, «e possiamo immaginare un prodotto con il quale essere in grado di informare i nostri partner sugli appetiti dei nostri collezionisti come su più ampie tendenze di mercato».

Read è restio a fare scommesse su chi sarà il futuro vincitore, ma dice: «La gente cerca online informazioni o opinioni sull’arte. Se si diventa il luogo in cui reperire informazioni, questo ti può dare una posizione incredibilmente potente».

www.artsy.net
www.hiscox.co.uk/online-art-trade-report/
www.invaluable.com
www.artfacts.net

 

Il team di Artsy Auctions nel quartier generale di Artsy a Tribeca, New York © Courtesy of Artsy

Sarah P. Hanson, 22 dicembre 2017 | © Riproduzione riservata

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