Da sinistra, Salvatore Vitale e Menno Liauw

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Da sinistra, Salvatore Vitale e Menno Liauw

Dietro le quinte di Exposed, il nuovo festival internazionale della fotografia di Torino

Menno Liauw e Salvatore Vitale, i due direttori artistici, raccontano il progetto che dal 2 maggio al 2 giugno coinvolgerà una ventina di sedi cittadine

Dal 2 maggio al 2 giugno Torino accoglie la prima edizione di Exposed Torino Foto Festival, organizzato dalla Fondazione per la Cultura Torino. Il programma prevede una ventina di mostre sparse in 23 istituzioni culturali della città, due weekend di eventi tematici, un calendario carico di incontri e conferenze e un’impressionante lista di partner locali. Tema e titolo «New Landscapes - Nuovi Paesaggi». Ne parlano i due direttori artistici del festival, Menno Liauw (fondatore e direttore di Futures) e Salvatore Vitale (direttore artistico di Futures e cofondatore e redattore capo di «Yes Magazine»). 

Avete creato un nuovo festival dal nulla. Da che cosa avete iniziato? 
MENNO LIAUW. Abbiamo iniziato chiedendoci: se c’è un nuovo festival, quale dovrebbe essere il suo significato? Di che cosa dovrebbe trattare? Che cosa possiamo aggiungere a quello che c’è già? Perché a Torino c’è molto. È una miscela di ciò che riteniamo interessante e importante, in combinazione con le risorse che ci sono a Torino e con l’identità della città. Abbiamo immaginato fin dall’inizio il modo in cui il festival si sarebbe svolto. Di solito un festival ha luogo in uno spazio chiuso, in cui tutto è concentrato. Exposed è piuttosto esteso e l’intera città, o almeno il centro, diventerà la sede del festival. Se questa unione tra il festival e la città riuscirà, sarà una novità nel mondo della cultura. 

SALVATORE VITALE. Non essendo di Torino, abbiamo dovuto capire che tipo di dinamiche avvenivano in città. Ed è questo che ci ha portato a concepire l’idea di un evento molto collaborativo, che è qualcosa di abbastanza nuovo. Allo stesso tempo per noi è stato subito molto importante capire come posizionare il festival a livello internazionale. 

Parliamo del tema del festival, «New Landscapes - Nuovi Paesaggi».
S.V. Il tema è piuttosto ampio. Troviamo interessante inaugurare Exposed mettendo in discussione il medium stesso, interrogandoci su che cosa sia la fotografia oggi e su che cosa stia accadendo nel panorama fotografico. Vogliamo ampliare la nostra comprensione della fotografia, capire come stia cambiando e come possiamo rappresentare questa transizione sia concettualmente che visivamente.

M.L. È un messaggio chiaro: siamo interessati a nuovi paesaggi e tutto ciò che vedrete è la nostra interpretazione di nuovi paesaggi. Speriamo che ciò faccia pensare in modo diverso coloro che sentendo la parola paesaggio si limitano a immaginare letteralmente un paesaggio. Vogliamo esplorare che cosa succederà, come si evolverà la fotografia e il suo rapporto con la società.

Come si traduce nel programma questa volontà? 
M.L. La cosa più importante per noi è proporre un programma nuovo e che venga riconosciuto dal pubblico come diverso. Ciò che aggiungiamo è la curiosità, l’orientamento al futuro e il fatto di essere «artist-driven», di voler enfatizzare il processo artistico. Qualcuno ha definito Exposed un festival basato sulla ricerca. Significa che ci concentriamo davvero sul contenuto, invece di presentare solo belle immagini. Ci tengo a sottolineare che, anche se parliamo di ricerca, non significa che sarà noioso o che ci saranno solo testi e spiegazioni. Il festival è colorato, in molti casi va oltre la fotografia e ci sono delle opere spettacolari.

S.V. Per noi è molto importante mantenere un equilibrio tra progetti a lungo termine basati su una ricerca e il valore visivo ed estetico. Le mostre portano l’idea di qualcosa di profondo a cui bisogna dedicare del tempo, ma sono anche esteticamente molto potenti. Gli artisti selezionati sono invitati a ripensare il loro lavoro in un contesto diverso, ad adattare la propria opera. Immaginiamo, ad esempio, un artista del Nord Europa che espone a Palazzo Madama. Exposed sarà anche un’esperienza visiva e fisica molto interessante.

La maggior parte dei progetti selezionati riflette su questioni sociali, politiche e ambientali. La fotografia ha un impatto sulla nostra percezione del mondo?
S.V. La fotografia è sempre stata politica, non credo possa esistere senza un atto politico. Un festival di fotografia dovrebbe riflettere ciò che sta accadendo nel mondo. Sennò si può avere un’esperienza estetica straordinaria, ma a che scopo? La nostra società sta vivendo un momento di transizione molto interessante e profondo, è importante discuterne in un evento di questa portata.

M.L. Uno dei nostri obiettivi è rendere le persone consapevoli e sottolineare l’importanza dell’alfabetizzazione visiva, in modo che possano interpretare le immagini, sapere che ciò che si pensa di vedere è solo una delle possibili realtà. Come curatori, cerchiamo di scegliere i progetti che illustrino meglio o servano come punto di partenza per queste discussioni. 

Citate spesso, come valori propri al festival, l’inclusione e la diversità. 
M.L. Non lo facciamo perché è necessario farlo o politicamente giusto. Siamo consapevoli di non poter avere una piena inclusione e una rappresentazione completa, equa e bilanciata di tutte le culture del mondo, non è possibile. Ma facciamo in modo che ci siano molte prospettive diverse, con il risultato che alla fine il festival è più interessante, c’è molto di più da vedere e da imparare.

S.V. Abbiamo artisti provenienti dal continente africano, dal Sud America, dalla Corea del Sud. O ancora, una mostra come «Queer Icons», che per noi è molto importante nel contesto italiano di questo specifico momento. Per noi è essenziale portare tutte queste visioni diverse che equivalgono a modi diversi di guardare il mondo.

Come immaginate che si svilupperà Exposed negli anni futuri?
S.V. Credo che il festival, al di là del programma di quest’anno, sia un evento molto importante e sono entusiasta che Torino abbia deciso di investire nella fotografia, il che è audace, soprattutto avendo la città questa forte presenza nell’arte contemporanea. È un’operazione molto coraggiosa e noi la sosteniamo totalmente. La fotografia non è mai entrata veramente nell’ambito dell’arte contemporanea e Torino sta tentando di metterle sullo stesso piano.

M.L. Questa è solo la prima edizione, ma si vede già il potenziale che può avere. Credo che se la città continuerà a sostenere Exposed, potrà diventare un festival molto importante, un evento che i professionisti aggiungeranno automaticamente alla propria agenda.

Anna Aglietta, 29 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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