Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine
Luana De Micco
Leggi i suoi articoliAgli inizi del ’900, nell’effervescenza dei vicoli, dei cabaret e dei café-concert di Montmartre, prima cioè che un altro quartiere parigino, Montparnasse, si affermasse come il quartiere degli artisti, nacque quella che fu chiamata École de Paris, un’espressione coniata dal critico d’arte André Warnod nel 1925: non una scuola in senso accademico né un movimento unitario, ma una comunità cosmopolita informale di artisti, diversi per lingua e origini, approdati a Parigi fra il 1900 e il 1939. Provenivano in gran parte dall’Europa centrale e orientale, erano russi, polacchi, tedeschi, rumeni, ma tra loro c’erano anche italiani, americani e giapponesi, spesso esuli politici, spesso ebrei, che fuggivano i regimi autoritari e antisemiti dei loro Paesi. Tutti erano attratti dall’idea della libertà espressiva ed erano accumunati da una stessa visione dell’arte come linguaggio universale. Tutti trovarono nella capitale francese un terreno fertile per reinventare l’arte moderna e contribuirono a fare di Parigi il teatro stesso della creazione artistica.
È a questa corrente che il Musée de Montmartre ospita dal 17 ottobre al 15 febbraio 2026 la mostra «École de Paris, Collection Marek Roefler», riunendo oltre 130 opere provenienti dall’omonima collezione privata, per la prima volta presentata in Francia. La collezione di Marek Roefler, imprenditore e collezionista polacco di 73 anni, è conservata alla Villa la Fleur di Konstancin-Jeziorna, vicino a Varsavia, trasformata in museo nel 2010, oggi punto di riferimento importante per lo studio e la valorizzazione dell’École de Paris in Europa. La mostra del Musée de Montmartre si articola in quattro sezioni, in cui si ricostruisce non solo lo sviluppo estetico, ma anche il contesto umano e storico in cui è nata e si è radicata l’École de Paris. Nella Parigi di inizio ’900 si incontrano e si intrecciano infatti diverse correnti, Postimpressionismo, Fauvismo, Cubismo, Espressionismo.
A questo aspetto plurale è dedicata la seconda sezione, in cui l’École de Paris è mostrata come un «laboratorio» della modernità: non esiste un unico «linguaggio», né uno stile definito, ma tutti gli artisti rifiutano i vincoli accademici e si aprono alla sperimentazione. Sono esposte le figure elegantemente geometriche di Tamara de Lempicka, i ritratti longilinei di Amedeo Modigliani, le pitture materiche e tormentate di Chaim Soutine, i celebri nudi di Moïse Kisling, come quello di Kiki de Montparnasse, le sculture di Ossip Zadkine e Chana Orloff. A questi nomi famosi si affiancano pittori spesso meno noti come Louis Marcoussis, Alice Halicka, Henri Epstein, Mela Muter, Henri Hayden e gli scultori Jozef Csaky, Boleslas Biegas, Xawery Dunikowski, Jean Lambert-Rucki e Auguste Zamoyski.
La terza sezione è dedicata alle «opere dell’esilio», dipinti e sculture che portano in sé identità frammentate, intrise di nostalgia, ma anche di resilienza. «Dipinti di figure, scene di atelier, ritratti, paesaggi interni o luoghi di rifugio: ogni opera, scrive il museo parigino in una nota, è il frutto di uno sguardo singolare sul mondo, segnato dallo sradicamento, dalla memoria e dalla ricerca dell’identità». La mostra si chiude su una sezione dal titolo «Au-delà de Paris», in cui sono esposte opere che, «dalle rive bretoni fino ai paesaggi immaginari del sogno, scrive il museo, sono la testimonianza del messaggio universale portato da questa diaspora artistica». Opere nate dunque durante i viaggi che alcuni artisti realizzarono in particolare nel Sud della Francia, a Céret, Saint-Paul-de-Vence, Cassis, o in Catalogna, e opere nate dai «viaggi interiori», attraverso la memoria e il sogno.

Tamara de Lempika, «Danzatrice russa», 1924-25. © Villa La Fleur. Photo: Marcin Koniak. © Tamara de Lempicka Estate, Llc, Adagp, Paris, 2025