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Quando l'appropriazione di opere altrui è arte
Plagio, furto, violazione del diritto d’autore? Nulla di tutto ciò: nel lavoro artistico «ogni azione ha un precedente nell’esperienza di qualcun altro e gli artisti hanno sempre fatto riferimento a un’iconografia preesistente per realizzare le proprie opere». È questa la premessa da cui ha preso il via un’indagine condotta dall’artista Thomas Demand nella sua veste di curatore della mostra «L’image volée», presentata alla Fondazione Prada dal 18 marzo al 28 agosto, nell’allestimento di Manfred Pernice (altro artista), lungo i due livelli della Galleria Nord. Dopo Goshka Macuga, di cui è in corso fino al 19 giugno «To the Son of Man Who Ate the Scroll», (anche in questo caso l’artista si presta al ruolo di curatrice), anche Demand si cimenta ordinando un percorso formato da oltre 90 opere di 45 colleghi, dal 1820 a oggi.
Muovendosi con grande libertà, l’artista-curatore esplora nelle tre sezioni della mostra altrettante piste di ricerca intorno ai concetti di autorialità e appropriazione. C’è la vera sottrazione, il furto dell’oggetto-opera d’arte, come in «Stolen Rug» (1969), il tappeto persiano rubato su richiesta di Richard Artschwager per una mostra a Chicago, o in «Senza titolo» (1991), in cui Maurizio Cattelan incornicia una denuncia di furto o, ancora, nel dipinto corale di Adolph von Menzel (1854), fatto a pezzi per ricavarne ritratti più piccoli e vendibili. Insieme, c’è l’alterazione compiuta da un altro artista, come il quadro di Gerhard Richter trasformato nel 1987 in tavolino da Martin Kippenberger o il «Concetto spaziale, Attese», 1966, di Lucio Fontana creato tagliando una tela del pittore giapponese Hisachika Takah.
L’appropriazione dell’immagine altrui occupa la seconda sezione, che si muove tra «Appropriation Art» (la riproduzione dell’«Autoritratto» di Raffaello dipinta da Ingres tra il 1820 e il 1824; la replica di Picabia di «L.H.O.O.Q.», la «Gioconda con i baffi» di Duchamp; la copia di un dipinto di Picasso realizzata da Cy Twombly come regalo di compleanno ecc) e i processi di alterazione e riuso d’immagini altrui (tipica la «défiguration» di Asger Jorn). Nell’interrato l’indagine su immagini che «rubano» momenti personali, come le reazioni del pubblico al «Cristo morto» di Holbein il Giovane («Blue Line-Holbein», 1988), colte da John Baldessari con una telecamera nascosta, o la serie «The Hotel», 1981, in cui Sophie Calle riprende momenti privati di sconosciuti.
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