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Rosalba Cignetti
Leggi i suoi articoliIl Rabkin Prize è uno dei riconoscimenti più consistenti che gli Stati Uniti dedicano alla scrittura sulle arti visive. Istituito dalla Dorothea and Leo Rabkin Foundation di Portland (Maine), assegna ogni anno otto premi da 50.000 dollari ciascuno a giornalisti e critici selezionati per la qualità e l’impatto del loro lavoro, collocando il premio tra i più consistenti nel panorama internazionale: dal 2017, con quasi 4 milioni di dollari, il Rabkin Prize si è imposto come uno dei principali sostegni al giornalismo d’arte negli Stati Uniti, combinando riconoscimento economico e visibilità culturale.
Le traiettorie dei vincitori del Rabkin Prize 2025 mostrano la varietà della scrittura d’arte oggi. Tempestt Hazel è tra le fondatrici di Sixty Inches from Center, piattaforma indipendente che documenta la memoria culturale di Chicago con attenzione alle comunità meno rappresentate. Jessica Lynne, editor associata di Momus e cofondatrice di ARTS.BLACK, concentra invece la sua ricerca sull’esperienza afroamericana. Da Miami, Nicole Martinez, giornalista e vicedirettrice di Fountainhead Arts, è impegnata a collegare l’arte al contesto sociale della città. Brandy McDonnell, che su The Oklahoman firma articoli di cultura e spettacolo pensati per un pubblico ampio. Il premio riconosce anche il lavoro di America Meredith (Cherokee Nation), editrice di First American Art Magazine, rivista dedicata agli artisti nativi, e di Eva Recinos, freelance che collabora con Los Angeles Times e Hyperallergic, dove spesso tratta l’arte insieme a temi sociali. Infine Paul Chaat Smith (Comanche Nation), autore e curatore al National Museum of the American Indian di Washington, e J Wortham, senior editor del New York Times Magazine, che ha portato la cultura visiva in un contesto editoriale generalista. Per il secondo anno la Fondazione ha affiancato al premio il progetto Rabkin Interviews, una serie di ritratti e conversazioni che raccontano i percorsi dei vincitori. Le loro testimonianze mettono in evidenza un’urgenza comune: difendere spazi di scrittura autonoma e ribadire il ruolo della critica come strumento per leggere la società.
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