Il ministro dei Beni culturali uscente, Alberto Bonisoli

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Il ministro dei Beni culturali uscente, Alberto Bonisoli

Ci piacerebbe un ministro più educato

Giuliano Volpe

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Negli stessi roventi giorni di agosto in cui si annunciava la crisi di Governo messa in atto per iniziativa di Matteo Salvini, veniva pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» la «riforma» voluta dal ministro Alberto Bonisoli, che in gran fretta, il 13 e 14 agosto, emanava anche due decreti attuativi, uno sull’organizzazione dei musei statali, l’altro sull’organizzazione degli uffici dirigenziali. Sono già intervenuto, insieme a Daniele Manacorda, sulle pagine di questo stesso giornale esprimendo non poche riserve e critiche a questo provvedimento, che, peraltro, ha conquistato un record nel mettere tutti, o quasi, d’accordo nel ritenerlo inadeguato e sostanzialmente sbagliato, sia chi aveva difeso sia chi aveva contrastato le precedenti riforme Franceschini. Un vero miracolo di Bonisoli riuscire a scontentare tutti!

Mi limito a riassumere rapidamente solo gli elementi essenziali della riorganizzazione. L’aspetto più rilevante riguarda la decisa spinta centralistica, con un accentramento di poteri e funzioni nelle mani del direttore generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, che ora, tra l’altro, firmerà i provvedimenti di vincolo (con un fondato timore di ingolfamento al centro delle numerose pratiche prodotte a livello nazionale), e soprattutto del segretario generale, che diventa il vero potere forte del Ministero, accumulando numerose funzioni, anche di ordine «politico» oltre che amministrativo e tecnico-scientifico, accentuando anche il carattere ispettivo (ai limiti del poliziesco), grazie alla rete, alle sue dirette dipendenze, dei Segretariati distrettuali che sostituiscono i Segretariati regionali.

Un concentramento di poteri che, secondo molti, pare ispirato dall’attuale segretario generale, Giovanni Panebianco, vero artefice di questo e degli altri provvedimenti di questa stagione ministeriale, da quando cioè è stato «suggerito» al gentile e politicamente debole Bonisoli da Luigi Di Maio e Vincenzo Spadafora, potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio che, secondo fonti giornalistiche, sarebbe stato inizialmente indicato proprio come ministro dei Beni culturali. Al centro nasce anche una nuova Direzione generale «Contratti e Concessioni», oltre alle due di tipo amministrativo già esistenti («Organizzazione» e «Bilancio»), accrescendo il carattere burocratico del Ministero.

In periferia, fortunatamente sono confermate le Soprintendenze uniche, mentre sono aboliti i Poli museali regionali, sostituiti dalle Direzioni territoriali delle Reti museali, in vari casi di carattere interregionale. Risultano decisamente penalizzate le Regioni più piccole e periferiche, come la Liguria (accorpata al Piemonte), la Basilicata (accorpata alla Puglia), il Molise (accorpato all’Abruzzo), non senza macro accorpamenti come quello di Lombardia e Veneto e strane fusioni tra musei e reti museali, come nel caso di Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia: per intenderci, ora il direttore del Castello di Miramare dovrà occuparsi anche del Museo Archeologico di Cividale del Friuli, del Museo Archeologico e della Crypta S.M. Assunta e del Museo Paleocristiano di Aquileia, del Museo di Archeologia Subacquea di Grado. Per non parlare del Museo di Brera, cui afferirà anche il Cenacolo Vinciano, e soprattutto degli Uffizi, cui è stata associata la Galleria dell’Accademia di Firenze, privata dell’autonomia: un vero monstrum!

Sono state, poi, eliminate le Commissioni regionali del patrimonio culturale, prima composte da tutti i dirigenti degli istituti presenti in ogni Regione con il compito di uniformare le attività e rendere più collegiali le decisioni a scala regionale.

Infine, dopo varie incertezze, si è eliminata l’autonomia di alcuni musei e parchi, come la fiorentina Galleria dell’Accademia e il Parco dell’Appia, mentre sono stati istituiti, in maniera alquanto precipitosa e confusa, i «Musei Nazionali Etruschi», evidentemente come pasticciata risposta (molti altri musei «etruschi» sono in altre Regioni, come Emilia, Umbria, Toscana, Lazio e Campania, e molti musei non rappresentano solo la civiltà etrusca ma anche altre culture e periodi storici) all’eliminazione dell’autonomia del Museo di Villa Giulia, che tante proteste ha suscitato.

Sarebbero molti altri gli aspetti problematici da sottolineare in questa riorganizzazione, l’ennesima che si abbatte sul corpo già malandato e debole del Ministero, ma vorrei più semplicemente segnalare alcuni aspetti di «forma» e, direi, di cortesia istituzionale, che non penso possano essere ridotti a mero formalismo. Cecilie Hollberg, direttrice della Galleria dell’Accademia di Firenze, ha appreso pochi giorni fa da una semplice email, senza troppe spiegazioni, che il suo mandato finiva il 22 agosto. Simone Quilici, selezionato con un bando internazionale e nominato direttore del Parco dell’Appia dallo stesso ministro, ha scoperto dai giornali, poco prima della conferenza stampa da lui indetta per presentare i suoi programmi (poi rapidamente annullata), che il Parco era stato privato dell’autonomia.

Analogo trattamento è stato riservato a Valentino Nizzo, attivissimo direttore del Museo di Villa Giulia. Magra consolazione la bella lettera aperta di solidarietà di quindici direttori o ex direttori di musei autonomi della stessa prima generazione promossa da Franceschini.

Inoltre, la «riforma» dei musei prevede la soppressione dei Consigli di amministrazione: le molte decine di persone (professori universitari, professionisti, economisti) impegnate per alcuni anni, gratuitamente e generosamente, nel supportare i direttori nella gestione dei musei avranno ricevuto anche solo una lettera di ringraziamento per la loro collaborazione, prima di apprendere dai giornali di non essere più utili? Non mi risulta. Peccati veniali, si dirà. Ma se in un Ministero della Cultura, sempre più privato delle specificità tecnico-scientifiche e trasformato in una mera macchina burocratica, togliamo pure le buone maniere, cosa resterà?

Infine, il Consiglio Superiore dei Beni culturali e paesaggistici, massimo organo consultivo e propositivo del Mibac (solo a giugno scorso ricostituito con grave, imperdonabile e ingiustificato ritardo, a un anno dalla decadenza del precedente organo), ha potuto esaminare il testo della riforma solo a decreto già approvato dal Governo il 19 giugno, quindi ex post, ma ha ugualmente proposto un suo articolato parere nella seduta del 3 luglio nel corso di un approfondito dibattito, a seguito dell’illustrazione del progetto da parte del ministro (che, peraltro, dopo il suo intervento, ha ritenuto di lasciare l’aula e di non ascoltare le osservazioni dei consiglieri): un parere nel quale ha indicato numerose criticità e motivi di preoccupazione e ha chiesto di essere messo nelle condizioni di offrire un contributo in fase applicativa.

Poche settimane dopo sono stati emanati i Decreti ministeriali senza che il Consiglio fosse né informato né tanto meno consultato. Non ha, quindi, dato un parere favorevole alla riforma, come impropriamente e scorrettamente è stato poi fatto trapelare sulla stampa. Ecco un’altra grave dimostrazione di scarsa considerazione delle funzioni del Consiglio Superiore che mi auguro possa tornare presto a svolgere il ruolo che gli è proprio.

L'autore dell'articolo, Giuliano Volpe, è componente e presidente emerito del Consiglio Superiore dei Beni culturali e paesaggistici

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Giuliano Volpe, 30 agosto 2019 | © Riproduzione riservata

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