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Francesco Tiradritti
Leggi i suoi articoliLa Valle dei Re è uno dei siti archeologici più celebri al mondo. Vi furono sepolti i sovrani del Nuovo Regno (1550-1075 a.C.), a partire almeno da Thutmosi I per arrivare fino all’ultimo dei Ramessidi, l’undicesimo. Le loro sepolture furono scavate lungo il letto di uno wadi (corso d’acqua, Ndr) che si apre tra le propaggini dell’altopiano libico sulla riva ovest di Luxor.
Con la fine della pandemia il turismo in Egitto è ripreso forse con ancora maggiore vigore di prima e, ora che comincia l’alta stagione, la Valle dei Re accoglie ogni giorno di migliaia di visitatori. L’interesse per questa località racchiusa tra impervie falesie di roccia calcarea è vivo e presente nella cultura occidentale da oltre due secoli e non accenna a diminuire.
I primi visitatori furono gli esploratori della seconda metà del XVIII secolo quando l’Egitto meridionale tornò a essere accessibile. I graffiti in geroglifico, fenicio, cipriota, licio, greco, latino e copto incisi o tracciati sulle pareti delle tombe reali, dimostrano però che già in antico questi straordinari monumenti avevano destato l’ammirazione di innumerevoli turisti ante litteram.
Questa attenzione pressoché continua ha nuociuto al distacco necessario nell’affrontare lo studio del sito e molte sono ancora le imprecisioni, se non i propri e veri errori, che vengono commessi quando si parla della Valle dei Re anche dal punto del visto scientifico.
Il primo sbaglio, forse quello più grave, è considerare la località come un’unità. È il nome stesso che giustifica questo fraintendimento. Parlare di «Valle» significa infatti deprivare le tombe reali della singolarità che possedevano in passato e attribuisce all’intera area un’aurea di sacralità che invece non possedeva. Inviolabile era soltanto il sepolcro in preparazione, denominato «Sede della Verità». Il resto della «Valle» non possedeva il medesimo status e poteva perciò ospitare i sepolcri di altri individui. Da qui deriva l’errata convinzione che tali personaggi avessero ricevuto l’onore di essere accolti nella necropoli reale. Le ragioni per cui le loro tombe si trovano qui e non altrove restano invece da chiarire.
Le prime mappe della Valle dei Re compaiono nei resoconti dell’esploratore danese Frederic Louis Norden (1708-42) e dell’ecclesiastico e viaggiatore inglese Richard Pococke (1704-65). Si devono invece ai membri della commissione scientifica al seguito della spedizione di Napoleone Bonaparte i primi rilievi delle tombe fino a quel momento. Allo stesso periodo risale l’esplorazione del braccio occidentale dello wadi, noto oggi come Valle dell’Ovest, e la conseguente scoperta della tomba di Amenofi III (KV 22; l’abbreviazione «KV» sta per «King’s Valley»).
I primi scavi di una qualche importanza furono compiuti qualche anno più tardi dal padovano Giovanni Battista Belzoni (1778-1823) che, nel 1817, trovandosi ad aspettare la piena del Nilo per trasportare al Cairo il colosso di Ramesse II, oggi al British Museum, decise di ingannare l’attesa esplorando la Valle dei Re. A lui si deve il rinvenimento di numerose tombe, tra le quali quelle di Ay (KV 23), anch’essa nella Valle dell’Ovest, e di Sety I (KV 17).
Quest’ultima è uno dei più straordinari sepolcri reali dell’antico Egitto. Si inoltra per 137 metri nella roccia calcarea e la sua decorazione documenta uno dei momenti più felici del rilievo dipinto egizio. Sety I (1289-1278 a.C.) si trovò a regnare in un momento in cui l’eco della riforma religiosa e culturale voluta da Akhenaton non si era ancora spenta e il modellato delle figure che affollano le pareti del suo sepolcro conservano perciò ancora la morbidezza caratteristica dell’epoca precedente, seppur mitigata dall’astratta perfezione delle forme derivante dal ritorno alla tradizione.
Prima di recarsi in Egitto Belzoni era stato uomo di spettacolo e, dotato di notevole forza e di un’imponente statura, si era esibito a lungo in Inghilterra con lo pseudonimo di «Sansone patagonico». Fu forse questa sua passata esperienza a fargli intravedere la possibilità di sfruttare la sua scoperta dal punto di vista economico. Commissionò le copie a grandezza naturale di alcune pareti della Tomba di Sety I al medico e disegnatore senese Alessandro Ricci (1792-1834) e le espose poi nella Egyptian Hall di Piccadilly, riscuotendo un buon successo di pubblico. In un certo senso la mostra di Belzoni può essere considerata la prima esperienza immersiva della storia: le stampe dell’epoca mostrano i visitatori aggirarsi in ambienti tappezzati dalle riproduzioni eseguite da Ricci.
Dalla Tomba di Sety I, già depredata in antico, Belzoni trasse anche lo splendido sarcofago in alabastro traslucido che cercò di vendere al British Museum. L’affare non andò in porto e il preziosissimo reperto fu invece acquistato dall’architetto Sir John Soane (1753-1837) che lo utilizzò come decorazione centrale della «Sepulchral Chamber» nel seminterrato della sua dimora londinese dove si trova ancora oggi.
C’era una volta nella Valle dei Re
Il centenario della scoperta della Tomba di Tutankhamon (4 novembre 1922-2022)
di Francesco Tiradritti
1. Giovanni Battista Belzoni
2. Nascondigli reali
3. La prima volta di Carter
4. Un rinvenimento leggendario

Acquarello di George Scharf che riproduce uomini con cartelloni pubblicitari, tra i quali uno che pubblicizza la mostra di Giovanni Battista Belzoni, tenutasi nel 1821 all’Egyptian Hall di Piccadilly (Londra, British Museum, 1862, 0614-1192. © Trustees of the British Museum)

Un dettaglio della decorazione della Tomba di Sety I nella Valle dei Re. Foto Francesco Tiradritti

Mappa della Valle dei Re pubblicata nella Déscription de l’Egypte Planches: Antiquités, t. II, Paris, 1812, planche 77. Archivio Francesco Tiradritti

Graffiti di visitatori incisi ai lati del cartiglio di Ramesse VI nella tomba del sovrano nella Valle dei Re (KV 9). Foto: Francesco Tiradritti
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