Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image

Cibo per la mente

Courtesy of Buonissima

Image

Cibo per la mente

Courtesy of Buonissima

Buonissima va a braccetto con l’arte

Ecco gli appuntamenti che hanno trasformato Torino in un laboratorio estetico del gusto

Margherita Panaciciu

Leggi i suoi articoli

Ci sono città in cui la cucina cerca un contesto, altre in cui lo trova naturalmente. Torino appartiene a quest’ultima categoria. Abituata da sempre a ragionare per stratificazioni, a convivere con le sue memorie barocche e le sue architetture contemporanee, Torino ha accolto l’edizione 2025 di Buonissima come si accolgono le cose necessarie, senza clamore e senza stupore, quasi con la consapevolezza che l’arte e il cibo, qui, abbiano molto più in comune di quanto possa sembrare. Lo si è capito fin dall’Opening Dinner a Palazzo Madama, mercoledì 22 ottobre, che ha segnato l’avvio dei sei appuntamenti costruiti sull’intreccio tra estetica e gastronomia. Entrare in quelle sale, illuminate da luci soffuse che lasciavano intravedere soffitti affrescati e scale monumentali, significava immergersi in un tempo sospeso, in cui la cucina diventava estensione naturale del contesto. La cena appariva come una coreografia pensata per far dialogare la storia del palazzo con il gesto contemporaneo dello chef. Ogni portata sembrava evocare un frammento della collezione museale, come se i sapori potessero farsi eco delle opere.

Pochi giorni dopo, le Gallerie d’Italia hanno ospitato due momenti chiave: l’Aperitivo dell’Arte e la Cena dell’Arte, venerdì 24 ottobre. Qui la relazione tra cibo e immagine si è fatta più precisa, quasi disciplinata. Gli chef chiamati a intervenire hanno lavorato non tanto sulla suggestione visiva quanto sul concetto di interpretazione. In particolare, l’incontro tra Christian Costardi, cuoco piemontese con un rispetto quasi religioso per le materie prime, e Josean Alija, chef basco che ha dato una forma poetica alla leggerezza del Guggenheim di Bilbao, ha generato un dialogo inconsueto. Costardi porta con sé la forza silenziosa del riso, ingrediente che conosce come pochi altri in Italia, e che usa come un linguaggio attraverso cui raccontare il territorio. Alija, al contrario, è un minimalista assoluto: la sua cucina vive di piccoli dettagli e contrasti impercettibili. Metterli uno accanto all’altro ha significato far incontrare due sensibilità distanti ma parallele, entrambe capaci di trasformare il museo in un luogo dove si mangia come si osserva un’opera.

Fuori dai contesti istituzionali, il festival ha trovato spazi nuovi, sorprendenti. Uno dei più emozionanti è stato la Libreria Luxemburg, uno dei luoghi simbolo della cultura torinese, dove per la prima volta si è tenuta una cena. Mangiare tra gli scaffali, circondati da migliaia di libri, ha creato un’atmosfera intima, quasi clandestina, in cui il gesto del servire un piatto sembrava parte della stessa ritualità del leggere. Il pubblico si muoveva in punta di piedi, come consapevole di essere ospite in un luogo che da sempre custodisce parole, idee, storie.

Poi è arrivata la serata, sabato 25 ottobre, che più di tutte ha lasciato un segno nell’immaginario: A Taste of Alchemist, la cena di Rasmus Munk all’interno di Palazzo Saluzzo Paesana. Qui l’arte non è stata evocata, ma vissuta in prima persona. Munk, che ha fatto dell’immersione sensoriale il centro della sua visione, ha trasformato il palazzo in un teatro: luci, proiezioni, ombre, elementi scenografici si sono intrecciati ai piatti creando un racconto totale. La cucina è diventata performance, l’ospite spettatore e attore nello stesso tempo. L’effetto complessivo non era quello di un evento gastronomico, ma di un’opera d’arte temporanea, destinata, come tutte le opere effimere, a vivere nel ricordo di chi c’era. L’impressione finale è stata quella di una città che si lascia attraversare dalla creatività senza opporre resistenza. Torino ha permesso alla cucina di fermarsi nei suoi palazzi, di abitare le sue librerie, di risuonare nei suoi musei, come se il cibo fosse sempre stato parte integrante del suo paesaggio culturale. Buonissima 2025 ha dimostrato che quando arte e gastronomia dialogano senza forzature, nasce qualcosa che non appartiene né all’una né all’altra, ma a quella zona intermedia dove la bellezza trova una forma nuova.

Margherita Panaciciu, 26 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Oltre 150 lotti tra antichi e moderni per sostenere ANFFAS Lucca e Fondazione Ospedale Pediatrico Meyer

Il franchise di intrattenimento arricchisce la sua collezione con il water d’oro “America», un ready-made che riflette lusso, paradosso e curiosità museale

Da Hartung a de Chirico, passando per Sironi e Schifano: un viaggio tra materia, gesto e memoria storica nell’autunno d’arte di Prato 

La 49ma edizione della storica fiera italiana rilegge il sistema nostrano tra tradizione forte e ricerca in espansione

Buonissima va a braccetto con l’arte | Margherita Panaciciu

Buonissima va a braccetto con l’arte | Margherita Panaciciu