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Una scena di Hijo Mayor (2025) di Cecilia Kang

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Una scena di Hijo Mayor (2025) di Cecilia Kang

Buenos Aires Express. Hijo Mayor racconta l’epopea quotidiana della comunità coreana in Argentina

Lila, giovane argentino-coreana, si destreggia fra le contraddizioni della sua identità, cercando il proprio posto nel mondo. Il padre Antonio arriva in America Latina 18 anni prima e decide di scommettere tutto sul sogno di un giovane immigrato. Un’epopea familiare che prova a tornare al passato per reinventare il presente

Matteo Cocci

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La questione identitaria, specialmente quella legata alle generazioni emigrate in tenera età, se non addirittura nate in un paese diverso da quello da cui provengono i loro genitori, è una delle più care ai cineasti che si stanno affermando in questi ultimi anni. Dal travolgente Everything Everywhere All at Once (2002) al delicato Past Lives (2023), fino allo stratificato Hijo Mayor (2025) – grazie al quale l’esordiente argentina di origini coreane Cecilia Kang ha vinto il Premio per la miglior regia emergente nella sezione Cineasti del Presente della 78esima edizione del Locarno Film Festival –, l’effetto di spaesamento o, al contrario, il naturale senso di appartenenza di chi orgogliosamente rivendica le sue radici a discapito dei propri tratti fisiognomici, rappresenta il nucleo della narrazione stessa.

A dominare la prima parte del racconto in Hijo Mayor è il personaggio di Lila, una giovane ragazza argentina di ascendenze coreane. A interpretarla è Anita B. Queen, popolare DJ e performer alla sua prima prova assoluta da attrice, apparsa a presenziare alla prima mondiale del film a Locarno insieme alla regista e ai produttori. Nel film la figura di Lila è solamente accennata e a emergere è soprattutto la sua difficoltà a stabilire legami profondi, da un lato con i suoi connazionali, che non riescono a identificarla come un membro della loro comunità, dall’altro con il padre Antonio (Kim Chang Sung) – serioso e a tratti perseguitato dal proprio passato – e con altri parenti di origine coreana, nei confronti dei quali avverte un incolmabile gap generazionale.

La sezione centrale del film fa un salto indietro nel tempo e si concentra invece sulla figura del padre al suo arrivo in Sud America, per la precisione in Paraguay, molti anni prima. Qui le atmosfere, quasi sognanti, sembrano richiamare lo stile elegante e passionale riconducibile all’opera di Wong Kar-wai, maestro del cinema asiatico, celebre per le immagini talvolta simili a poesie visive, come nel caso di In the Mood for Love (2000), talaltra struggenti e in grado di evocare mondi interiori fatti di desiderio, memoria e profonda malinconica, come in Happy Together (1997), ambientato proprio in Argentina. Antonio, in questo caso impersonato da Suh Sang Bin, è un giovane vitale e intraprendente pronto a scommettere (letteralmente) tutto quello che ha per costruirsi un futuro migliore. Così, tra risse con i malavitosi che gli hanno sottratto il ristorante che possedeva e un folgorante quanto effimero amore per un’affascinante donna locale – la quale, prima di dirgli addio, sarà pronta ad aiutarlo senza chiedere nulla in cambio – seguiamo Antonio mentre decide di mettersi nuovamente tutto alle spalle per cercare maggiore fortuna in Argentina.

Se i primi due segmenti del film ricostruiscono la vicenda personale di Kang in forma di finzione – a detta della regista stessa, questo l’ha aiutata a mantenere una distanza emotiva dal film –, il terzo e ultimo si presenta invece come un breve documentario che vuole mettere in luce quanto la narrazione, per come si è fin lì sviluppata, sia effettivamente una trasposizione di eventi realmente accaduti, mostrando i veri genitori della cineasta intenti a commentare momenti del loro passato mentre sfogliano un album di famiglia.

Sebbene la mescolanza di registri diversi tenda a spezzettare il ritmo del racconto, che a tratti stenta a mantenere il coinvolgimento emotivo necessario per apprezzare la complessità della storia rappresentata, Hijo Mayor è un film in grado di appassionare, fornendo i fili che, intrecciati, intessono la vicenda, ma lasciando la possibilità di interpretarli e associarli in modo diverso, per giungere ognuno a una diversa verità. La forza del progetto risiede in ultima analisi nel sincero tentativo da parte di Kang di ripercorrere, attraverso la sfaccettata figura paterna, la propria storia e con essa quella dei tanti che, come lei, si trovano a conciliare il loro presente con un passato e un’eredità culturale che non possono essere ignorati.

Una scena di Hijo Mayor (2025) di Cecilia Kang

Matteo Cocci, 25 agosto 2025 | © Riproduzione riservata

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