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Boccaccio Bocaccino, «Due santi», 1500-05, Bologna, Pinacoteca Nazionale (particolare)

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Boccaccio Bocaccino, «Due santi», 1500-05, Bologna, Pinacoteca Nazionale (particolare)

Boccaccio Boccaccino fu schiacciato da Romanino e Altobello

A 500 anni dalla morte, il Museo Diocesano di Cremona, che conserva il più ampio nucleo museale di opere dell’artista, ne riunisce 16 «solo provenienti da musei italiani». Da vedere anche i lavori nel Duomo

Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

Pochi, al di fuori degli addetti ai lavori, conoscono il nome, e tanto meno l’opera, di Boccaccio Boccaccino (Ferrara?, 1462/ante 22 agosto 1466-Cremona, 1525), eppure lo stesso Vasari, sempre così schizzinoso con gli artisti che non fossero toscani, pur preferendogli il figlio Camillo, dovette riconoscere nelle sue Vite che era stato un «raro» ed «eccellente pittore». 

A 500 anni dalla morte, il Museo Diocesano di Cremona, la città dove visse più a lungo e dove morì dopo una vita vagabonda, spesa tra Ferrara, Genova, Milano, Venezia e Roma, gli dedica, dal 10 ottobre all’11 gennaio 2026, la mostra «Il Rinascimento di Boccaccio Boccaccino» (catalogo Officina Libraria), curata da Francesco Ceretti, Università di Pavia (che ha appena pubblicato una monografia sul cremonese Altobello Melone) e Filippo Piazza, Soprintendenza Abap Brescia e Bergamo (dopo anni a Cremona), affiancati da un autorevole comitato scientifico. La mostra scaturisce dalla recente acquisizione all’asta, da parte del Museo, di un frammento della «Pala Fodri», l’ultima sua opera, realizzata per la chiesa cremonese di San Pietro al Po: «A seguito di un probabile incendio, la pala fu smembrata e questo esemplare salvato dagli eredi Fodri, ci spiega Filippo Piazza, perché, insieme a un vescovo e due santi, vi figura il ritratto del padre dei committenti (Benedetto Fodri, che era uno dei massari della Fabbrica della Cattedrale). Giunto poi sul mercato e rimasto invenduto, il frammento, vincolato dalla Soprintendenza, è stato comprato dalla Diocesi e sottoposto a un complesso intervento di restauro che oggi consente di apprezzare parte delle sue antiche prerogative formali ed estetiche». Aggiungendosi alle altre sue opere conservate qui (la bellissima «Annunciazione Ludovisi», deposito permanente della Fondazione Arvedi Buschini; la «Crocifissione» e la «Sacra famiglia con Maria Maddalena»), questa tavola è andata a formare il più ampio nucleo museale di opere di Boccaccino. 

La mostra, una vera primizia, riunisce 16 opere, giunte dagli Uffizi, da Brera, dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia, dalla Galleria Estense, dal Museo di Capodimonte, dal Museo Civico di Padova e dal Museo Correr: «Solo dipinti provenienti da musei italiani, continua Piazza, ma capaci di tracciare al meglio l’intero percorso di Boccaccino, dagli anni ’90 del Quattrocento fino a questo suo ultimo lavoro, già intriso degli umori anticlassici di Altobello e di Romanino». Un percorso, il suo, lungamente tacciato di monotonia ma che invece, come spiega Francesco Ceretti a «Il Giornale dell’Arte», «visse diverse fasi. Sull’anima emiliana (era figlio di un famoso ricamatore della corte Estense) si innestò infatti la lezione di Leonardo, di Andrea Solari e di Boltraffio, da lui avvicinati a Milano, poi ci fu la volta di Venezia, dove fuggì nel 1500: qui entrò in dialogo con i modelli di Giovanni Bellini e con la pittura di Giorgione (di lui, Alessandro Ballarin dice che il modello è belliniano, ma la pelle giorgionesca) e qui nel 1506, subito prima di rientrare a Cremona, vide la “Pala del Rosario” di Dürer, oggi a Praga, che lo folgorò. Fu per lui un punto di svolta fondamentale».

Pittore capace dunque di confrontarsi con le novità che incontrava nei suoi spostamenti, a Cremona Boccaccino dipinse dal 1507 il catino absidale del Duomo e l’«Annunciazione» sull’arco trionfale (poi replicata nella tavola già Ludovisi, Museo Diocesano) e, dal 1514, la parete sinistra della navata: pochi passi, fino al vicinissimo Duomo, e con queste sue opere si completa la visita alla mostra.  
Sebbene esistano studi sul lavoro di questo artista (alla pionieristica monografia di Alfredo Puerari del 1957 e all’interesse di Mina Gregori e Alessandro Ballarin, si aggiunge lo studio monografico del 1991 di Marco Tanzi) tuttavia il suo nome, fuori da Cremona, è pochissimo conosciuto. «Perché? Perché, ci risponde Ceretti, compagno di strada di Romanino e Altobello, che hanno uno stile più appealing del suo, lui, che praticava un protoclassicismo con volti edulcorati, occhi incantati e contemplativi che invitano al raccoglimento e alla preghiera, è stato come “schiacciato” da loro. Boccaccino ha dipinto solo Madonne, con un’unica eccezione, la “Zingarella” degli Uffizi, che è l’immagine guida della mostra». Un «madonnaro», dunque, ma tutt’altro che pio, con un carattere violentissimo: a Milano finì infatti in carcere per aver ferito in una rissa un famoso miniatore e nel 1500 dovette fuggire a Venezia per aver ucciso la moglie infedele. Tanto che, ci segnala Filippo Piazza, «nel “Triompho di Fortuna”, 1526, del ferrarese Sigismondo Fanti, il suo nome figura in un cartiglio nella pagina dedicata alla “Rota dell’ira”» .

Boccaccio Boccaccino, «Sacra famiglia con Santa Maria Maddalena», 1518, Cremona, Museo diocesano

Ada Masoero, 07 ottobre 2025 | © Riproduzione riservata

Boccaccio Boccaccino fu schiacciato da Romanino e Altobello | Ada Masoero

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