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Laura Milan
Leggi i suoi articoliIl mare e le coste come spazio-soglia e la nostra Penisola con i suoi quasi 8mila km di superficie liminale sempre più strategica, centrale, da osservare, studiare e su cui lavorare, un ambito in cui sperimentare e costruire nuovi rapporti, da rendere paradigma per un rinnovato dialogo tra il territorio, i suoi attori e il progetto.
Il Padiglione Italia alla 19ma Biennale di Architettura di Venezia, commissionato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea, Dipartimento per le Attività Culturali del Ministero della Cultura e supportato con 800mila euro, con questo tema ha aperto «Terræ Aquæ. L’Italia e l’Intelligenza del Mare», progetto presentato da Guendalina Salimei, prima curatrice donna nella storia del padiglione in una Biennale Architettura. Il progetto nasce da un bando lanciato a maggio 2024 e chiuso a ottobre, seguito, a gennaio, da una Call for Visions and Projects estremamente aperta che chiedeva a progettisti, ricercatori, enti pubblici, scuole e università di presentare entro il 3 marzo 2025 idee innovative, proposte progettuali, visioni e riflessioni teoriche sul rapporto tra terra e mare. La risposta è stata ampia: oltre 600 contributi da selezionare e organizzare in uno spazio di 1.200 metri quadrati in soli due mesi. La Call, che doveva essere punto di forza, si è rivelata punto debole di un padiglione deludente.
Il rapporto tra l’Italia e il suo mare è restituito all’interno di una moderna Wunderkammer, manifesto di un approccio bottom-up che ha scelto di esporre «dal basso» invece che dedicarsi a un lavoro critico top-down, sottraendosi, come dichiarano in modo esplicito i pannelli in mostra, «a ogni tentazione di sintesi». Le due Tese, completamente buie, sono abitate da due semplici strutture metalliche che creano un dinamico paesaggio interno e abbracciano la grande parete nera che divide longitudinalmente la prima navata, mentre il «Pontile della Ricerca», dedicato ai programmi e progetti di indagine e studio, è dotato di un piccolo teatro a gradoni destinato a ospitare il programma d’incontri previsto nei prossimi mesi. Il percorso di visita è semplice e chiaro.
Gli eterogenei esiti della Call sono intervallati dagli interventi del team curatoriale, che includono il lavoro sul Mediterraneo del fotografo Luigi Filetici e le mappe geopolitiche della cartografa di «Limes», Laura Canali. Sono anche accompagnati da puntuali presenze artistiche, come l’installazione sonora di David Morlacchi che «immerge nell’acqua» la seconda Tesa, e dalle installazioni degli sponsor (Banca Ifis e Fondazione Berengo, Ndr), a volte spaesate e un po’ gratuite (ma necessarie ai fini del budget). Dall’enorme video all’ingresso si passa alla colorata Quadreria, scelta che, in omaggio alle settecentesche raccolte di dipinti, espone decine di sezioni, planimetrie, schizzi e mappe dal grande impatto visivo ma dalla difficile interpretazione (le didascalie sono collocate sulla parete di fronte).
Si prosegue con i progetti, le sperimentazioni d’arte, le narrazioni fotografiche e il lavoro delle Università italiane, protagoniste della seconda tesa. Dai territori giungono anche esperienze partecipative e il lavoro degli enti pubblici, e non manca lo sguardo sotto le acque. Tutti introducono temi e istanze in una modalità che, di fatto, salva dal giudizio e dalle obiezioni che inevitabilmente porta con sé una scelta. I materiali sono esposti in un allestimento meno interattivo e digitale di quanto avrebbe dovuto essere quello di un padiglione nell’era dell’IA. Fra pannelli illustrativi non sempre leggibili e pochi testi, il massimo dell’interattività è la navigazione consentita da schermi touch tra i progetti delle Università. La fruizione è statica e monodirezionale, affidando la trasmissione di molti contenuti a troppi video che scorrono, in loop, su troppi monitor collocati ovunque e che limitano la comprensione dello stesso padiglione, penalizzando partecipazioni immerse in un mare in cui diventa difficile trovare qualcuno e qualcosa.
Che cosa lascia la visita? Probabilmente a restare impresso è l’enorme schermo di apertura e il colpo d’occhio della Quadreria. Ma approcciandosi in maniera meno fugace (quanto tempo si deve passare davanti ai video per vederli tutti?) l’impressione complessiva è quella di un padiglione che doveva fare molto di più.