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Luisa Menazzi Moretti, «Far Fading West»

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Luisa Menazzi Moretti, «Far Fading West»

Aura e scomparsa, il West di Luisa Menazzi Moretti

La fotografa nel suo nuovo progetto racconta la scomparsa di quella idea di West che ha alimentato e ancora alimenta mitologie americane

Leonardo Merlini

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Riflettere sulla fotografia è un'operazione intellettualmente sempre stimolante: da un lato c'è il tema della presunta veridicità e oggettività del medium, che è stata ampiamente e brillantemente smentita; dall’altro c'è un clamoroso ampliamento dello spazio sulla scena del contemporaneo, che la rende una delle pratiche più forti, con una significativa valenza sociale e, soprattutto, una componente di "verità" artistica impossibile da negare. Abbiamo tutti ben presente il monito di Walter Benjamin sulla perdita dell'aura come conseguenza della sua riproducibilità tecnica, ma oggi, in qualunque museo o esposizione, sembra invece che la fotografia abbia la capacità di rinnovare la propria aura, in virtù di una componente impalpabile ed effimera, che nasce, in fondo, dal fatto che la perdita di ogni certezza sulla veridicità delle immagini le rende assolutamente inafferrabili, uniche, luminose nei casi migliori. E la riproduzione di qualcosa che non c’è - ovviamente non nel senso di fake associato alla AI, ma di avvicinamento a quello che non vediamo - sembra oggi uno dei miracoli più intriganti della fotografia. Che ha ribaltato la sua anima tecnica in una vocazione all'incertezza che gronda fascino e mistero da ogni poro. E ha la forza di restituire una visibilità all'invisibile, in tante diverse sfaccettature del termine, che comprendono dimensioni sottili, ma anche tutta la parte di lavoro di costruzione delle immagini che sta dietro l'esito finale dell'opera.

Luisa Menazzi Moretti, «Far Fading West»

Luisa Menazzi Moretti, «Far Fading West»

Proprio in questa prospettiva, sul confine tra ciò che si vede e ciò che non si vede, tra ciò che si può dire e, citando Wittgenstein, ciò su cui non si può dire, si muove anche il lavoro della fotografa Luisa Menazzi Moretti che, a differenza del filosofo viennese, si concentra e lavora su qualcosa di sfuggente come l'idea stessa di scomparsa. Semanticamente, sembrerebbe essere una contraddizione in termini per il medium fotografico. Ma, per fortuna, non è così e lo si capisce guardando il progetto Far Fading West, che è anche un libro edito da Artem, e che racconta, come dice il titolo stesso, la scomparsa di quella idea di West che ha alimentato e ancora alimenta mitologie americane, che viene documentata in una sorta di presa diretta, nel suo farsi. E qui c'è un'altra intrigante stranezza, perché le immagini di Menazzi sono spesso studiate, cercate, costruite; però nel loro inseguire, potremmo dire filosoficamente, questa perdita e questa scomparsa, nel suo avvenire, ecco che il lavoro potrebbe sembrare anche quello di un reportage di fotogiornalismo, per la qualità dell'urgenza del racconto. Ma sarebbe un fotogiornalismo che ha saputo, ancora un volta, se non recuperare, almeno rievocare l'aura. E questa, nel suo intrinseco mistero, ci offre l'opportunità di vedere ogni cosa per ciò che è, ma anche per molto di ciò che non è, per quello che era o forse avrebbe potuto essere. Che in fondo, se ci pensate, è il principio su cui si basa la meraviglia.

Luisa Menazzi Moretti, «Far Fading West»

Luisa Menazzi Moretti, «Far Fading West»

Luisa Menazzi Moretti racconta un Texas che certamente ama e che, come ricorda spesso lei stessa, è comunque molto lontano dagli stereotipi. Eppure le sue fotografie, spesso con la forza di una apparente semplicità che è quella di uno sguardo che si autodefinisce comune, sanno parlarci proprio partendo dalle sensazioni che noi già abbiamo dentro, dalle costruzioni che abbiamo fatto per capire un mondo lontano, dalle stratificazioni dell'immaginario collettivo. Ma poiché il racconto è quello di una scomparsa, ecco che la fotografia deve agire necessariamente per sottrazione, riducendo, focalizzando e cercando di girare intorno, con strumenti e posture diversi, ma consapevoli della storia, a quei progetti di narrazione visiva di, per dire, Walker Evans o Dorothea Lange, insomma la grande fotografia sociale e sociologica del Novecento, spesso finanziata, potenza di un'altra mitologia americana come il New Deal, dalle istituzioni e dalle amministrazioni. Qui, nella Houston contemporanea, non ci sono committenti, ma c'è, come allora, uno spazio di presa di coscienza, per esempio, delle conseguenze dell'economia, complesse e dolorose non meno di quelle dell'amore. E così dalle immagini che guardano con più convinzione all'idea della documentazione, emerge il medium del messaggio, ossia il confronto con un iper capitalismo che ha travolto completamente le nostre vite, raccontato dall'interno, da luoghi che hanno contribuito e contribuiscono a crearlo questo Sistema globale, e ne sono attori e spettatori al tempo stesso. Così come lo sono le fotografie di Luisa Menazzi Moretti, sufficientemente lucida da sapere che stare nel mondo significa compromettersi continuamente, ma anche da riconoscere che le cose migliori a livello culturale nascono spesso proprio da questa compromissione continua. Che, in fondo, sopravvive a tutto, comprese le scomparse.

Leonardo Merlini, 05 luglio 2025 | © Riproduzione riservata

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